LAST OF THE WOLVES – anche noto come THE BLOOD OF WOLVES: LEVEL 2 (Korō no chi LEVEL 2, SHIRAISHI Kazuya, 2021)
SPECIALE FAR EAST FILM FESTIVAL 23 (Udine, 24 giugno – 2 luglio 2021)
Film in concorso
★★★★
Hiroshima, 1991. Tre anni dopo le vicende di The Blood of Wolves, l’un tempo integerrimo detective Hioka Shūichi segue le orme del suo defunto mentore Ōgami Shōgo e, al fine di mantenere la pace tra i due grandi clan criminali della città – la Odani e l’Hiroshima Jinsei-kai –, intrattiene rapporti disinvolti con i vertici della yakuza. La quiete è però turbata dall’uscita di prigione del violentissimo Uebayashi, erede dell’anziano boss Irako dell’Hiroshima Jinsei-kai, ucciso dalla Odani su soffiata di Hioka alla fine del film precedente. Il giovane criminale, infatti, è intenzionato ad assumere la guida del proprio clan e a riaprire il sanguinoso conflitto con la Odani, per vendicare Irako e prendere definitivamente il controllo della città.
Shiraishi Kazuya è uno tra i registi giapponesi più prolifici e interessanti emersi nel passato decennio (ha esordito solo nel 2010 con Lost Paradise in Tokyo, ma vanta già undici lungometraggi in filmografia) e con Last of the Wolves riesce nella doppia impresa di dare un seguito al suo premiatissimo noir The Blood of Wolves (Korō no chi, 2018), già un piccolo cult tra gli amanti del genere, e di superarlo negli esiti. Questo secondo capitolo infatti, anche se privato della carismatica figura del detective Ōgami (che nel 2018 era impersonato da un grandissimo Yakusho Kōji), porta alle estreme conseguenze le idee alla base del film precedente e, pur muovendosi nei binari classici dello yakuza movie, è ancora più ampio nell’intreccio, stilizzato nella messa in scena e nostalgico nei toni. La forza della pellicola sta nel grande conflitto che crea tra i due protagonisti: da un lato Hioka, sempre più tormentato da dubbi, passi falsi e conseguenti sensi di colpa, e dall’altro il memorabile Uebayashi, un “cattivo” quasi da fumetto, che cava gli occhi come Roy Batty ed è più indistruttibile di Michael Myers. Proprio attorno a questo personaggio Shiraishi e il suo sceneggiatore Ikegami Jun’ya (che si ispira sempre al romanzo di Yuzuki Yūko) costruiscono il discorso centrale del film: Uebayashi non accetta la trasformazione dell’attività criminosa in un business. Quando esce dal carcere, il giovane fa visita ai nuovi boss del proprio clan, che ormai si atteggiano a uomini d’affari, e – anche aizzato dalla vedova del vecchio Irako che li definisce “rammolliti” – li uccide per riaffermare un’idea di yakuza fondata sugli antichi valori di onore, vendetta e fedeltà e soprattutto su ciò che ne garantisce il rispetto: il sangue, l’omicidio, la violenza. Uebayashi è un archetipo cinematografico a cui poco interessa il denaro: l’unica cosa che conta per lui è riportare il crimine (e con esso il cinema che lo racconta!) ai fasti della brutalità, alle grandi sparatorie, alle guerre tra bande avversarie, alle mutilazioni granguignolesche. Shiraishi, come Uebayashi, vuole anch’egli tornare ai “tempi d’oro” e confeziona un film che si ispira ai maestri del genere (da Fukasaku Kinji al miglior Miike Takashi) e che rappresenta davvero un grande campionario del genere: dal criminale parricida psicotico ai poliziotti corrotti, dalle “talpe” infiltrate al classico rapporto tra partner investigativi, dalle scazzottate notturne sotto la pioggia alle torture più truculente, dalle difficili relazioni sentimentali ai giornalisti impiccioni che sparigliano le carte in tavola. Certo, Shiraishi è un regista che aspira alla classicità senza avere forse la raffinatezza e l’universalità di linguaggio che contraddistingue i grandi maestri e i loro capolavori senza tempo, ma indubbiamente si conferma un autore capace di operare efficacemente sui prototipi dei generi che tocca e di portare a compimento pellicole di ottimo livello, appassionanti e ricche di tensione drammatica (le due ore e venti di durata non pesano affatto). Inoltre, sa dirigere alla grande i propri attori: sia Matsuzaka Tōri sia Suzuki Ryōhei sono autenticamente memorabili nei propri ruoli e il primo in particolare sa davvero rendere tutto lo sconquasso psicologico di Hioka, passato da incorruttibile neolaureato di una delle migliori università giapponesi a detective spavaldo e a tratti spregiudicato che opera ai confini della legge, pronto a mettere a rischio anche i propri cari per raggiungere i propri obiettivi.
Qualcuno potrebbe obiettare che con una storia tanto archetipica a poco servano i tanti colpi di scena disseminati lungo la pellicola, dal momento che ogni situazione in realtà risulta comunque piuttosto prevedibile nella sua classicità, ma la forza del cinema di Shiraishi – molto aiutato nella creazione delle atmosfere dalla bella fotografia di Kato Kohei – non sta nell’originalità, bensì nella sua capacità di evocare emozioni forti e vere, che fanno delle sue pellicole esperienze cinematografiche potenti e trascinanti, che ci ricordano di un cinema puro che oggi è sempre più raro.
Jacopo Barbero
Titolo originale: 孤狼の血 LEVEL 2 (Korō no chi LEVEL 2); regia: Shiraishi Kazuya; sceneggiatura: Ikegami Jun’ya (dal romanzo omonimo di Yuzuki Yūko); fotografia: Kato Kohei; musica: Yasukawa Gorō; interpreti: Matsuzaka Tōri (Hioka Shuichi), Suzuki Ryōhei (Uebayashi Shigehiro), Murakami Nijirō (Chinta), Nishino Nanase (Mao), Nakamura Baijaku (Seshima Takayuki), Miyazaki Yoshiko (Seshima Yuriko), Ukaji Takashi (Mizoguchi Akira), Katase Rino (Irako Tamaki); produzione: Amano Kazuto, Takahashi Daisuke; durata: 139’; anno di produzione: 2021; uscita giapponese: 20 agosto 2021 (anteprima internazionale in concorso al 23° Far East Film Festival il 28 giugno 2021).