THE GOLDFISH: DREAMING OF THE SEA (Umibe no kingyo, OGAWA Sara, 2021)
SPECIALE FAR EAST FILM FESTIVAL 23 (Udine, 24 giugno – 2 luglio 2021)
Film in concorso
★★½
La giovane Hana vive in una casa-famiglia, nel suo passato c’è il trauma di una madre arrestata – che continua a proclamarsi innocente – con l’accusa di aver venduto nel proprio chiosco granite con pesticidi, provocando intossicazioni e danni agli ignari consumatori. Oramai Hana ha diciotto anni, e nel centro si occupa dei bambini più piccoli e delle tante mansioni che necessitano, coadiuvando lo staff e in particolare Taka, il ragazzo tuttofare. Un giorno viene accolta nella comunità una bambina di otto anni, Harumi, inizialmente scontrosa, ostile. Hana intuisce che la ragazzina proviene da un contesto familiare disfunzionale, e tra le due, lentamente e non senza difficoltà, nasce un legame.
Difficile immaginare che un pesce rosso possa sognare di essere liberato in mare, così come suggerirebbe il titolo, a meno che non sia preda di istinti suicidi. Le sequenze che aprono e chiudono il film, con onde gentili che lambiscono la protagonista e il piccolo pesce non possono quindi che essere intese come una (fin troppo) evidente metafora: piccole donne che vorrebbero crescere e uscire dalle gabbie – fisiche e psicologiche in cui sono costrette – per nuotare libere nel mare della vita. La giovanissima regista Ogawa, dopo l’esordio come attrice nel 2016 in Innocent 15 di Kai Hirokazu, e dopo aver diretto il precedente Beatopia (2017), entra nel mondo dell’infanzia segnata, nel momento delicato della crescita, dell’importanza dei legami familiari e di quelle relazioni che finiscono per diventare tali. Si sofferma su luci e ombre dei rapporti che più di altri segnano e formano gli esseri umani in una fase determinante della vita.
Il pensiero non può non andare a Kore-eda Hirokazu, alla sua attenta analisi dei nuclei familiari, e addirittura sembrano rimandare singoli passaggi, sia che siano bambini che si intrattengono sulle origini dei propri nomi, con analogia alla celebre sequenza di I wish nella quale un altro gruppo di piccoli protagonisti svela al regista quali fossero i propri desideri sia che si tratti di illuminare la sera con candele scoppiettanti, esattamente come accadeva al gruppo di sorelle in Little Sister.
Più che non per i rimandi specifici a Kore-eda – che a mio parere rimane comunque l’autore al momento più sensibile e accurato nella rappresentazione del mondo dell’infanzia – il film di Ogawa Sara è apprezzabile per la delicatezza nell’approcciarsi a temi, tipici ancora di Kore-eda, ma non solo, come la nascita di nuove forme di famiglia non necessariamente legate a riconoscimenti formali o a legami di sangue, quanto piuttosto a relazioni affettive. Oltre a ciò la regista mette in risalto quanto possano essere devastanti e protratti nel tempo gli effetti di eventi traumatici sul nucleo familiare, come i maltrattamenti subiti dalla piccola Harumi da parte della madre, che continua comunque a essere una figura di riferimento forte per la bambina. Nel caso di Hana e Harumi il legame si fonda proprio sul riconoscersi, entrambe segnate dai traumi di un passato più o meno recente.
Lo stile è pacato, fatto di movimenti che avvolgono le due protagoniste, ma anche di dettagli e di intensi primi piani. Notevoli gli inserti su campi di riso che ondeggia al vento o su nuvole grandiose, che, con un meccanismo certamente non nuovo, ma sempre efficace, rallentano la narrazione, sospendono il ritmo e, così come il mare, presenza-simbolo che “racchiude” il film con la sequenza citata in apertura ripresa nel finale, introducono una Natura dal senso potente e liberatorio.
Claudia Bertolé
Titolo originale: 海辺の金魚 (Umibe no kingyo); regia, sceneggiatura e montaggio: Ogawa Sara; fotografia: Yamazaki Yutaka; musica: Watanabe Takashi; suono: Shimazu Mikisuke; interpreti: Ogawa Miyu (Hana), Hanada Runa (Harumi), Serizawa Tateto (Taka), Fukuzaki Nayuta (Kanta), Yamada Kinuwo (Kyoko); produzione: Koide Daiju, Satō Gen; durata: 77’; prima uscita in Giappone: 25 giugno 2021.