BLUE SPRING (Aoi haru, TOYODA Toshiaki, 2001)
SPECIALE TOYODA TOSHIAKI
★★★
Blue Spring appartiene al filone gangster ambientato negli edifici scolastici dove la conquista del potere ed il controllo del territorio sono le finalità di giovani che si scontrano in risse e duelli o si sfidano in prove di coraggio: soggetto enfatizzato e restituito attraverso connotazioni iperboliche nella serie Crows, iniziata da Miike Takashi e continuata proprio da Toyoda Toshiaki.
Come spesso accade, il mondo degli adulti è ai margini e la scuola diventa specchio di una società degradata e senza regole, dove i giovani preferiscono non immaginare il loro futuro, oppure hanno desideri vaghi, come li definisce Yukio, il quale, davanti al professore dice, con un certo sarcasmo, di sognare la pace nel mondo. Al contrario, la violenza, l’efferatezza, la sopraffazione, sono elementi narrativi ed espressivi intorno a cui si dipana l’intreccio. Kujo diviene il boss dopo aver superato la prova di battere più volte le mani mollando la presa dal parapetto del cornicione della scuola. Altri, fra cui gli amici Aoki e Yukio, tenteranno di sostituirsi a lui sfidandolo. Il primo, considerato il suo tirapiedi, diventerà rivale; il secondo compirà un assassinio negli squallidi bagni per uscire di scena prelevato dalla polizia. Infatti è un microcosmo ben delimitato il luogo dell’azione, con recinti e cancelli di fronte ai quali si affacciano le forze dell’ordine o la yakuza intenta ad arruolare giovani che si ritengono falliti.
In un’unità di luogo e attraverso uno schema narrativo semplice, che ruota intorno a personaggi prevalentemente stilizzati, a parte l’ermetico Kujo, Toyoda, sin dall’incipit, esibisce il suo gusto per i dettagli, il contrasto di luce fra gli interni e gli esterni, l’utilizzo del ralenti, accompagnato dalla musica punk-rock e la verticalità delle vertiginose inquadrature: stilemi di un film che assumerà, fra sangue ed escrementi e una buona dose di cinismo, connotazioni pulp. La violenza, seppur palese, si accentua, nei principali nodi narrativi, tramite il fuoricampo. Rappresentativo è l’omicidio nel bagno, introdotto da un’altra inquadratura verticale, preparato dal monologo della vittima e dal silenzio di Yukio che, dopo un ripetuto e smarrito sguardo in macchina, estrae la lama: l’inquadratura passa all’esterno della porta la quale viene trafitta in più punti con gocce di sangue che fluiscono, in una soluzione di montaggio visivo e sonoro che amplifica e dilata il climax narrativo.
Sono i valori di una generazione ribelle che vengono rappresentati in chiave critica amplificandone le aberranti distorsioni morali e sociali ma da cui, con un insolito zoom, si prendono le distanze, per retrocedere dalla sfida dei ragazzi sul tetto, ad un campo lungo su un paesaggio urbano cementificato e anonimo. Sono i grigi, infatti, i colori prevalenti: anche i fiori, piantati insieme al professore nano nel cortile della scuola, nell’evidente funzione metaforica, tendono ad appassire e perdere vitalità con il deteriorarsi delle relazioni e dell’amicizia. Analogamente, gli stessi ragazzi sul tetto, già nell’incipit, sono dipinti come delle ombre.
Davide Morello
Titolo originale: 青い春(Aoi haru); regia: Toyoda Toshiaki; sceneggiatura: Toyoda Toshiaki, Matsumoto Taiyo; fotografia: Kasamatsu Norimichi; montaggio: Kusakabe Mototaka; suono: Kakizawa Kiyoshi; interpreti: Matsuda Ryūhei (Kujo), Arai Hirofumi (Aoki), Takaoka Sōsuke (Yukio), Oshiba Yusuke (Kimura), Yamazaki Yuta (Ota), Oshinari Shūgo (Yoshimura); prodotto da: Miyazaki Dai per Fimmakers, Omega Micott Inc.; durata: 83′; anno di produzione: 2001; uscita nelle sale giapponesi: 29 giugno 2002.