UNCHAIN (Anchein, TOYODA Toshiaki, 2000)
SPECIALE TOYODA TOSHIAKI
★★½
La vita di Unchain Kaji e di tre suoi amici, che attraverso la boxe ed altri sport da combattimento cercano di navigare attraverso le difficoltà della vita, nel Giappone di fine anni novanta.
Documentario filmato nel corso di quattro o cinque anni, a partire dal 1995, quando il regista conosce i quattro pugili e decide quindi di seguirli con una videocamera, nel suo piccolo questo lavoro ha molti dei tratti che ritorneranno nella filmografia di Toyoda negli anni a venire. Su tutto l’attrazione e l’empatia verso storie di perdenti e di persone che quindi vivono all’infuori o ai margini della società, uno dei protagonisti del documentario è di origine coreana ad esempio, e Unchain è orfano ed è stato cresciuto da uno zio. Un’empatia che Toyoda riesce a captare in quanto, secondo le sue stesse parole, ha vissuto un’esperienza simile quando era un giocatore professionista di shōgi e subì una cocente sconfitta che lo depresse molto. In Unchain e nei suoi amici Toyoda vede quindi la parte di umanità che di solito non viene ricordata e si cerca di dimenticare, il ragazzo non ha mai vinto nessun incontro in tutta la sua, breve, carriera sul ring, ma anche nella vita è stato battuto più volte: lavori casuali, matrimoni andati male, risse, fino alla crisi di follia che lo porta ad essere ricoverato in un ospedale psichiatrico e che forma la parte centrale del documentario. Si tratta della vicenda dell’attacco punitivo al centro dove si raggruppano i lavoratori giornalieri a Kamagasaki, ghetto di Osaka che figura in molti film giapponesi contro il sistema, si ricordi almeno Noisy Requiem (Tsuitô no zawameki) del 1988 di Matsui Yoshihiko. Qui, questi senza lavoro vengono sfruttati da gruppi di yakuza e proprio contro questi si scaglia la pazzia, mossa da buona fede, di Unchain che arriva in taxi completamente coperto di pittura gialla, inizia una rissa, viene malmenato ed infine ricoverato dove rimarrà per quasi un anno. Questo segmento è costruito sia dalle interviste ad Unchain, Garuda, colui che lo accompagnò nella folle impresa, e altri conoscenti, ma in parte anche grazie alla ricostruzione fatta attraverso l’uso di attori non professionisti.
La maggior parte del documentario è costituito da riprese di incontri di pugilato e altri tipi di sport da combattimento, filmate sia da Toyoda, ma anche immagini registrate precedentemente da amici dei quattro lottatori. Paradossalmente è questa la parte più debole del lavoro, in quanto è ciò che succede fuori dal ring il vero motivo d’interesse di questo film, sono i visi e le parole dei protagonisti quando intervistati che danno un senso, o cercano di darlo, al caos delle loro vite. Spesso Toyoda usa anche vecchie fotografie dei ragazzi, ma qui il montaggio è troppo frenetico e stona e non di poco con il resto del lavoro, vizio stilistico che ritornerà, in poche scene a dir la verità, anche in un altro e più riuscito documentario, Planetist (Puranetisuto) del 2020.
Matteo Boscarol
Titolo originale:アンチェイン (Anchein); regia: Toyoda Toshiaki; fotografia: Toyoda Toshiaki; montaggio: Kusakabe Mototaka; musiche: Soul Flower Union; interpreti: Unchain Kaji, Garuda Tetsu, Nishibashi Seichirō, Nagaishi Osamu; narratore: Chihara Junia; produzione: Miyoshi Kikuchi, Tsuchii Tomoo; durata: 98’ ; anno di produzione: 2000.