VIGILANTE (Bijirante, IRIE Yū, 2017)
GIAPPONE 2016 – 2021: LE SCELTE DI ICHIYAMA
★★★½
Vigilante è una delle descrizioni più cupe della provincia giapponese che siano mai state portate sugli schermi, specialmente in questi ultimi decenni. Il grande merito del film è proprio quello di raccontare il lato oscuro della provincia giapponese, intrallazzi fra politica locale e malavita, ma anche il senso di disperazione di vite che girano a vuoto come intrappolate nei larghi paesaggi costellati di tralicci che aprono il film. Irie esplora e sprofonda in tutti i mali che possono far marcire la vita di una comunità, da un lato mostra come l’economia delle piccole province si basi molto spesso sull’apporto portato dai grandi centri commerciali, che da circa vent’anni a questa parte hanno contribuito a ridefinire la forma urbana delle periferie e delle campagne giapponesi. Dall’altro ci mostra come la collusione fra politica e yakuza sia capillare in tutte le latitudini dell’arcipelago, tanto lontano dalle grandi metropoli, quanto nei grandi agglomerati urbani.
Ciò che eleva il film al di sopra della media dei film contemporanei dedicati alle vite ai margini, almeno nelle intenzioni, sono le interpretazioni dei tre attori principali e l’atmosfera creata attraverso un sapiente uso della fotografia e delle luci. Ognuno dei tre attori, Ōmori Nao, Kiritani Kenta e Suzuki Kōsuke, incarna alla perfezione un diverso tipo di perdente che è stato torturato dal destino fin dalla giovane età, ma che naviga la vita adulta in modi diversi. Il ribelle nichilista che si autodistrugge ed è legato al passato, da cui però è fuggito ma che rimane paradossalmente la sola cosa a cui tiene, in Ichirō. Il giovane che si vuole duro, ma che in realtà ha un cuore gentile e che sopravvive apparentemente senza nessuno scopo, in Saburō. Jirō invece rappresenta forse l’anello più debole, colui che per sopravvivere cerca di inserirsi nel meccanismo sociale della zona, scendendo a patti con i politici e chiudendo più di qualche occhio su vicende poco chiare. In questo senso Shinoda Mariko nel ruolo della giovane moglie attraente e avida di potere, è il perfetto complemento e la perfetta spalla del marito, spesso vigliacco ed esitante nel fare l’ultimo passo. Naturalmente si tratta di semplificazioni e come si diceva, benché le interpretazioni siano ottime, si rischia spesso di cadere in una descrizione eccessivamente cupa ed è proprio questo rischio di eccedere nel parossismo a far scendere il film di qualche livello, specialmente nella sua parte finale dove cerca di essere troppo un film di Kitano, quando assistiamo allo scontro tra due gang, una della provincia e una proveniente dalla città, Yokohama. Un’interessante trama parallela che si intreccia con quella principale è costituita dall’interazione della comunità locale con il gruppo di lavoratori cinesi che abitano nella zona, le tensioni fra i due gruppi, che sfoceranno poi in violenza, sono raccontate e descritte senza falso moralismo e senza paura di sembrare troppo veritiere. Il tema forse avrebbe meritato di essere approfondito maggiormente, anche perché si tratta di una tematica che è destinata ad emergere sempre di più in Giappone nei prossimi decenni, ma il film è già abbastanza lungo e forse non c’era lo spazio per aggiungere di più.
L’ultima nota, ma, come si diceva, l’elemento che forse rimane più impresso dopo la visione del film e quello che ne costituisce il vero fulcro, è il modo in cui la cittadina di provincia viene descritta e portata sul grande schermo. Il film è stato girato nella città natale di Irie, Fukaya nella prefettura di Saitama, ma la storia è naturalmente fittizia. Quasi tutto il lavoro è girato di notte, e nelle poche scene diurne si tratta di paesaggi invernali freddi, sia letteralmente che per quanto riguarda le tonalità usate. Negli interni e nei paesaggi notturni le luci sono fioche e quasi gelatinose, non c’è il gioco di luci colorate dei quartieri del divertimento di Tokyo o Osaka che spesso si vedono in molto cinema giapponese. In Vigilante, i forti contenuti di denuncia e il tono pessimista si intrecciano a formare una trama che non offre nessuna via d’uscita ai suoi protagonisti, personaggi che vengono risucchiati dal paesaggio anodino della provincia che li ha generati.
Matteo Boscarol
Titolo originale: ビジランテ (Bijirante); regia, sceneggiatura: Irie Yū; montaggio: Satō Takashi; fotografia: Ōtsuka Ryō; musiche: Kaida Shōgo; interpreti: Ōmori Nao (Ichirō), Kiritani Kenta (Saburō), Suzuki Kōsuke (Jirō), Sugata Shun (Takeo), Shinoda Mariko (Akiko); produzione: Tokyo Theatres Company Incorporated, Studio Blu; durata: 125’; anno: 2017; prima uscita in Giappone: 19 dicembre 2017.