DESTRUCTION BABIES (Disutorakushon beibīzu, MARIKO Tetsuya, 2016)
GIAPPONE 2016 – 2021: LE SCELTE DI ICHIYAMA
★★★★
Presentato nella sezione Cineasti del Presente al 69° Festival di Locarno, Destruction Babies è valso il premio come miglior regista emergente al suo autore Mariko Tetsuya, che – già attivo sulla scena giapponese sin dal 2003 e conosciuto soprattutto per Yellow Kid (2009) – ha ottenuto notorietà internazionale proprio grazie a questo film, circolato in decine di manifestazioni cinematografiche e molto discusso per il suo contenuto di desolante nichilismo.
La pellicola, ambientata nella città portuale di Matsuyama, narra le vicende dei due fratelli adolescenti Taira e Shota, abbandonati dai genitori. Nella prima scena del film, Taira, che è solito azzuffarsi violentemente con altri giovani del posto, è attaccato dalla gang Takahama e – sotto lo sguardo impotente di Shota, che osserva la scena dall’altra riva di un fiume – soccombe, per poi scomparire misteriosamente. Dopo quest’episodio, il ragazzo, continuamente alla ricerca di coetanei da provocare e malmenare, inizia un viaggio esistenziale fondato sulla perpetrazione della violenza, mentre Shota tenta disperatamente di ritrovarlo.
Mariko, classe 1981, realizza un film di agghiacciante pessimismo sui giovani giapponesi, rappresentati in tutto il loro vuoto esistenziale, raccontati senza alcun tipo di approfondimento psicologico, colti solo nella loro fisicità asciugata dal senso che dovrebbe abitarla. Sono corpi inariditi, involucri che non celano più alcuna umanità, ma solo il primitivo istinto alla violenza. Il regista racconta tutto questo attraverso una sequela infinita di risse e scontri a mani nude che, pur attentamente coreografati, non risultano mai artefatti e, al contrario, inseguono il realismo, enfatizzato ulteriormente dalla messa in scena oggettiva e distaccata di Mariko. La violenza, infatti, è ripresa con grande impiego di campi medi e lunghi e con un uso della macchina da presa che, come impassibile, evita qualsiasi tipo di empatia con i protagonisti: ai movimenti di macchina dinamici e spettacolari che spesso caratterizzano le scene d’azione al cinema, Mariko preferisce panoramiche lente e contemplative o addirittura riprese a camera fissa, che sopprimono qualsiasi eccitazione per la brutalità e sottolineano lo sguardo quasi entomologico adottato dal regista, che fa uso parco di primi piani, come a voler mantenere la distanza dai personaggi. Numerosi, invece, i piani sequenza e i pedinamenti, che enfatizzano come l’autore punti a mettere in scena con meticolosità quasi scientifica i gesti dei giovani protagonisti.
L’aspetto più sconvolgente di Destruction Babies, tuttavia, non è tanto la sua violenza, che pure è tanta e talvolta efferata, bensì il fatto che Mariko paia non riuscire a identificarne le cause. La pellicola è il ritratto di una società intrinsecamente brutale, assuefatta alla crudeltà e ai meccanismi di sopraffazione reciproca, in cui l’atto violento è normale, quotidiano. Non è un caso che nel film non vi sia traccia di polizia o di qualsiasi forma di autorità, come se anche le istituzioni fossero ormai dissolte, in una sorta di regressione a uno stadio arcaico, come testimoniato anche dalla scena, verso il finale, in cui il fratello minore Shota assiste attonito a una celebrazione religiosa tradizionale, manifestazione di elementi misteriosi e ancestrali. E al racconto di questa società (neo)bestiale molto contribuiscono le interpretazioni degli attori, tutti eccellenti, primo fra tutti Yagira Yūya – l’ex enfant prodige che nel 2004 incantò il mondo in Nessuno lo sa di Kore-eda –, che qui si mette alla prova con un ruolo pressoché muto e riesce, solo attraverso suoni e ringhi, a rendere tutta l’angoscia e l’indomabile rabbia del suo personaggio e di una generazione intera.
Jacopo Barbero
Titolo originale: ディストラクション・ベイビーズ (Disutorakushon beibīzu); regia: Mariko Tetsuya; sceneggiatura: Mariko Tetsuya, Kiyasu Kōhei; fotografia: Sasaki Yasuyuki; montaggio: Lee Hidemi; musica: Mukai Hidenori; scenografia: Iwamoto Hironori; interpreti: Yagira Yūya (Ashihara Taira), Suda Masaki (Kitahara Yūya), Komatsu Nana (Nana), Murakami Nijirō (Ashihara Shota), Ikematsu Sōsuke (Miura Shingo), Kitamura Takumi (Kenji), Miura Masaki (Kono Junpei), Denden (Kondo Kazuo); produzione: Tokyo Theatres K.K.; durata: 108’; anno di produzione: 2016.