LET ME HEAR IT BAREFOOT (Hadashi de narashite miseru, KUDO Riho, 2021)
INTERNATIONAL FILM FESTIVAL DI ROTTERDAM ONLINE
26 gennaio – 6 febbraio 2022
★★★★
Kudo Riho è una giovanissima regista – al suo secondo film, dopo Orphans’ Blues del 2018 – che realizza con delicatezza e profondità una piccola opera indie presentata nella sezione Harbour del festival, nella quale realtà e irrealtà si compongono, mentre i sensi (l’udito che sostituisce la vista per Midori, il tatto e gli sguardi per i due giovani uomini) declinano mancanze o sentimenti impellenti.
Mentre Maki è solare e stralunato, Naomi cela molto di sé: una delle prime immagini che la regista gli dedica lo riprende a lungo mentre è voltato, indugiando sulla nuca, il viso nascosto. E poi c’è Midori, che non è mai stata nei posti di cui racconta. Le sue memorie sono inventate e danno vita a un passato di fantasia che si fonda su brandelli di ricordi altrui (un po’ come succedeva al personaggio di Kumiko in Noriko’s Dinner Table di Sono Sion). I suoi spunti, che vengono rappresentati, messi in scena dai ragazzi, alla fine tornano a lei distillati nei ‘suoni dal mondo’. E se in After Life di Kore-eda i ricordi venivano messi in scena per permettere ai defunti di raggiungere l’aldilà, qui i suoni e i racconti delle esperienze interpretate da Maki con l’aiuto di Naomi permettono a Midori di connettersi con la sé stessa che avrebbe voluto essere.
I tre personaggi oscillano tra realtà e fantasia, in un percorso che alterna i suoni ovattati della grotta azzurra di Capri – abilmente ricreati dai due ragazzi nella piscina di notte con un canotto recuperato – e discussioni con un padre insoddisfatto e pieno di debiti, finzioni di corse su immaginarie dune del deserto e una realtà di piccoli lavori che non permette di essere indipendenti.
Le memorie, anche false, come nei film di Sono o Kore-eda, fondano la ‘nuova famiglia’ e la tengono unita, almeno per un certo periodo. I segni che portano addosso, sulla pelle, i tre protagonisti (i lividi dei ragazzi, il tatuaggio della donna) ne testimoniano le affinità.
La simpatia prima, e l’attrazione poi, tra i due giovani si traducono in ore insieme a inventare nuovi suoni per Midori, giocando, ridendo, e poi in piedi che si sfiorano, mani che abbozzano carezze e soprattutto, in scontri di corpi che non si adeguano agli schemi, che cercano un modo, che hanno bisogno di toccarsi se pur per gioco in un finto combattimento, che si avvinghiano per sentirsi parte dell’altro.
«Mi fido solo di quello che tocco», confida Naomi all’amico. Si riferisce agli oggetti che colleziona e che conserva. Connettersi con un altro essere umano non è certamente facile: Naomi non riesce a stare a galla (nelle corsie della piscina come nella vita), i suoi sguardi dicono più dei gesti a volte paralizzati, a volte eccessivi. La sensualità che erompe nei momenti con Maki è sofferta proprio per l’impotenza di fronte all’intensità di quel contatto voluto, ma represso, e sublimato nella lotta.
Let Me Hear It Barefoot è un lieve, ma straordinario film sull’amicizia, sulle scelte che segnano il destino di ognuno, e (forse anche) sull’amore. Con due attori indimenticabili.
Claudia Bertolé
Titolo originale: 裸足で鳴らしてみせろ (Hadashi de narashite miseru); regia: Kudo Riho; sceneggiatura: Kudo Riho; fotografia: Sasaki Yasuyuki; musica: Fujī Soma; interpreti: Sasaki Shion (Naomi), Suwa Shuri (Maki), Komoto Masahiro (padre di Naomi), Fubuki Jun (Midori), Ito Kaho; produzione Giappone: Amano Mayumi – Erice Company; durata: 127’.