TIME OF EVE: THE MOVIE (Ivu no Jikan, YOSHIURA Yasuhiro, 2010)
JAPANESE FILM FESTIVAL ONLINE
14 – 27 febbraio, 2022
★★★★
Con un incipit che è quasi un depistaggio, il regista Yoshiura ci presenta i suoi protagonisti – il giovane Rikuo e il suo androide Sammy – seduti fianco a fianco, in attesa del completamento del processo di download tramite un cavo che collega l’imbarazzata Sammy al cellulare del ragazzo. L’immagine sembra tratta da un film di Jarmusch: due personaggi, sconosciuti l’uno all’altro e con lo sguardo perso in un altrove, separati da disagio e diffidenza. Il mondo di Rikuo e Sammy è Stranger than Paradise.
Come in Patema Inverted (2013), anche in Time of Eve il regista Yoshiura muove dalla rielaborazione di una omonima web series da lui realizzata due anni prima. Il tema al centro della sua poetica è quello della separazione tra mondi, della discriminazione basata su una “diversità” che genera sopraffazione e sospetto: nel futuro immaginato dal film, gli androidi vivono asserviti a un’umanità fredda e cinica che li schiavizza per mansioni umili. Considerati creature inferiori, esclusi dalla vita sociale e oggetto di scherno, i robot hanno in realtà una natura dolce e gentile; sul loro capo, per identificarli, vi è un anello olografico simile a un’aureola, allusione ad una “santità” e innocenza.
Rikuo scopre, seguendo i movimenti di Sammy, una sotterranea “resistenza” che ha luogo in un bar segreto: qui, umani e androidi vivono all’insegna della complicità. Non c’è discriminazione, lo spazio è condiviso e gli anelli olografici vengono spenti: il che rende indistinguibili i robot dagli umani. Il giovane inizia a frequentare il bar e ad avvicinare i suoi avventori, scoprendone intimamente le storie personali, i sentimenti, le paure. Flussi di coscienza – di umani e androidi – diventano storie; Yoshiura coglie l’impalpabile quotidiano, in forma di dialoghi e sketches tra commedia e dramma, mentre la vivace barista offre bicchieri in cui stemperare ogni diffidenza.
Rikuo depone ogni ostilità verso gli androidi e la sua presa di coscienza viene “messa in scena” attraverso l’uso della luce. Sempre attentissimo ai valori espressivi luministici, il regista affida il suo discorso al pudore di un’ombra o alla spiritualità di un alone luminoso che avvolge i protagonisti. Il suo sguardo abolisce ogni opacità superficiale per addentrarsi nella verità: le prospettive che improvvisamente si rovesciano inquadrano lo spazio nella sua totalità, restituendo un mondo complesso e molteplice in cui creature differenti possono convivere nella bellezza.
Nella fredda alienazione di Tokyo, il bar sembra l’unico luogo in cui trovare calore: Yoshiura lo dipinge con colori vivaci, lo rende vivo grazie a grandi piante ornamentali e oggetti familiari – teiere, vasi, comode poltrone su cui leggere un libro sorseggiando del tè; bambini giocano liberamente e coppie “miste” si scambiano effusioni senza timore d’essere dichiarate “fuorilegge”.
Yoshiura, così come avverrà due anni dopo in Patema Inverted, identifica nel sotterraneo il luogo della liberazione, della sospensione del concetto di “razza”. Ed è proprio nel bar, celato agli occhi del mondo, che il regista si sbizzarrisce in una regia dalla libertà senza fine – che osserva, esprime stupore attraverso improvvise zoomate, si concentra sui volti, scruta lo spazio con intenso entusiasmo, interpretando le emozioni e trasalimenti dei personaggi.
L’originalità del film risiede nella disinvoltura con cui Yoshiura fa confluire ispirazioni differenti – dalla sua fascinazione per le tre leggi della robotica di Asimov ad un approccio indie alla materia narrata – creando un’opera fresca, vibrante, che si interroga liberamente su codici di generi differenti, dalla fantascienza alla sitcom.
La figura dell’androide, così lungamente esplorata da letteratura e cinema, trova qui una variazione in chiave di dramedy trasognata e pacifista; e non mancano battute citazioniste (“Hey Blade Runner, la smetti di osservarmi?” dice un robot a Rikuo).
Il film anticipa la riflessione sugli “assistenti tecnologici” – di cui Spike Jonze offrirà la sua celebre versione nel film Her, 2013 – e gli effetti della loro presenza su una psiche umana sempre più fragile e sola, quasi priva di strumenti nell’affrontare il mistero della relazione con l’altro.
Marcella Leonardi
Titolo originale: イヴの時間 (Ivu no Jikan); regia: Yoshiura Yasuhiro; sceneggiatura: Yoshiura Yasuhiro; character design: Ryūsuke Chayama; interpreti: Fukuyama Jun; Nojima Kenji; Rina Satō; Rie Tanaka; produzione: Studio Rikka; durata: 106’. Best Notable Entry al Tokyo Anime Award del 2010.