GIRLS OF THE NIGHT (Onna bakari no yoru, TANAKA Kinuyo, 1961)
INTEGRALE TANAKA KINUYO. CINETECA BOLOGNA 11-30 MARZO
L’assunto su cui il film si basa è quello della impossibilità di liberarsi dal proprio passato, di come questo finisca inevitabilmente con l’imporsi sul nostro presente, proprio come accadeva in quel classico del cinema noir americano che è Le catene della colpa (Out of the Past, Jacques Tourneur, 1947).
La storia del film è quella di un gruppo di prostitute che, dopo la chiusura dei distretti a luce rossa, sono accolte in un centro di riabilitazione per essere poi reinserite nella società. Sebbene Girls of the Night abbia una struttura corale (simile a quella degli ultimi due lavori citati di Mizoguchi), esso si concentra in particolare sul destino di Kuniko, che la regista tratta allo stesso modo con cui Mizoguchi dava corpo all’eroina del suo La vita di O-Haru, donna galante (1952, interpretato dalla stessa Tanaka nel ruolo della protagonista). Entrambi i lavori, infatti, procedono attraverso una serie di stadi, ben separati fra loro, quasi come in un film a episodi, che disegnano una sorta di discesa gli inferi. Per tre volte Kuniko esce dal centro di riabilitazione grazie al lavoro che le è stato trovato: in una drogheria, in una fabbrica, in un roseto. Ogni volta, però, si ritrova, proprio come accadeva a O-Haru, con le spalle al muro quando il suo passato viene a galla.
Parrebbe, a un primo sguardo, di trovarsi di fronte all’ennesimo esempio di quella celebrazione del vittimismo che – come affermò Ōshima in un suo celebre scritto – avrebbe colpevolmente segnato molto del cinema giapponese classico. Ma non è così. Il personaggio di Kuniko, infatti, non si lascia sopraffare dalle circostanze, non soggiace ad esse, ma vi si contrappone con forza, reagendovi con risolutezza, come quando, per vendetta, seduce a “colpi di whisky” il droghiere, marito della donna che, scoperto il suo passato, la vorrebbe cacciare dal negozio. Ancor più decisiva a questo riguardo è la scena in cui tre giovanotti, che anch’essi sono venuti a sapere che Kuniko era una prostituta, la avvicinano di notte con l’intenzione di “divertirsi” tutti assieme, ma si danno poi alla fuga, di fronte all’inaspettata reazione della donna, che li provoca chiedendo loro se hanno idea di quanto gli costerebbe una notte con lei, e poi si siede a terra, li invita a “prenderla” e a stabilire l’ordine preferito: «Chi è il primo?».
Ciò che rende ancora più forte questa scena di stupro sfiorato è il fatto che i tre giovani sono fidanzati di altrettante operaie colleghe della fabbrica in cui lavora Kuniko, cosa che la dice lunga sulla relazione fra il maschio e la femmina, così come il film la mette in scena. Venute a sapere dell’accaduto, le operaie decidono di vendicarsi, non però sui loro compagni, bensì sulla stessa Kuniko. Decisione che paradossalmente finirà col concretizzare, sul corpo dell’eroina, quella violenza cui era appena riuscita a sfuggire. Le operaie, infatti, l’avvicineranno di notte, l’aggrediranno, le bloccheranno mani e piedi – quasi come si trattasse di un vero e proprio stupro –, e le verseranno sul viso della cera bollente.
Si raggiunge qui un grado di violenza e sadismo in cui Tanaka Kinuyo respira l’aria di quella “breccia” – il termine è di Ōshima – aperta nel nuovo cinema giapponese dalla Nūberu bāgu – prima dai film di Masumura e poi da quelli dello stesso Ōshima e di Imamura – e che porterà alla rivoluzione dell’exploitation al femminile, che troverà il suo punto più alto nei film interpretati da Meiko Kaji, come la serie Female Prisoner Scorpion degli anni Settanta.
Sadismo, violenza e sessualità – anche se forse non le principali e certamente non le uniche – sono tre parole chiave del film di Tanaka Kinuyo (e agli esempi fatti bisognerebbe aggiungere anche le allusioni al desiderio lesbico, Kameju che si infila nel futon di Kuniko, e la rissa, quasi alla western all’italiana, tutta al femminile nella mensa del dormitorio).
Non si deve però credere, in conclusione, che così facendo Tanaka Kinuyo tradisca Mizoguchi. Al contrario bene ne riprende alcuni motivi (l’idea della cera bollente era già in O-Sen delle cicogne di carta, 1935, quella della sessualità proibita in La signora Ōyu, 1951, tratto da Tanizaki) e li amplifica, sotto l’influenza della coeva Nūberu Bāgu, preparando il terreno alla futura exploitation al femminile (proprio come Kurosawa aveva fatto per il jidaigeki e il chanbara col suo La sfida del samurai, 1961).
Dario Tomasi
Titolo originale: 女ばかりの夜 (Onna bakari no yoru), regia: Tanaka Kinuyo; soggetto: Yana Masako, sceneggiatura: Tanaka Sumie; fotografia: Nakai Asazako; scenografia: Kojima Motoki; suono: Nishio Akira; musica: Hayashi Hikaru; interpreti: Hara Hisako (Kuniko), Kita Akemi (Chieko), Seki Chieko (Oyuki), Karukawa Masumi (Harada), Sawamura Sadako (Kitamura), Awashima Chikage (Nogami), Okamura Fumiko (Okada), Nakahita Chieko (Yoshi); produzione: Tōhō; durata: 93’; prima uscita in Giappone: 5 settembre 1961.