THE MOON HAS RISEN (Tsuki wa noborinu, TANAKA Kinuyo, 1955)
INTEGRALE TANAKA KINUYO. CINETECA BOLOGNA 11-30 MARZO
Paesaggi, branchi di cervi tranquilli e sagome di templi aprono il secondo film di Tanaka Kinuyo: siamo a Nara, in casa Asai, dove vivono un padre vedovo e tre sorelle adulte.
The Moon Has Risen è il secondo dei sei film della celeberrima attrice interprete di indimenticabili eroine, raro caso di donna dietro alla macchina da presa in anni in cui il cinema in Giappone (e non solo lì) è un mondo quasi esclusivamente maschile. La prima è Sakane Tazuko, che dirige New Year’s Finery nel 1936, ma la cui carriera di regista si arresta dopo quell’unico film. Solo superata la soglia degli anni Settanta un’altra attrice, Hidari Sachiko (protagonista di The Insect Woman di Imamura Shōhei nel 1963) esordisce con il lungometraggio The Far Road (1977), Haneda Sumiko realizza diversi documentari e Hamano Sachi, in assoluto la regista più prolifica del Giappone, intraprende la sua carriera nel mondo del pinku eiga, all’inizio come assistente di Wakamatsu Kōji: nel 1997, in occasione del Tokyo International Women’s Film Festival, ha all’attivo oltre trecento titoli. A parte i casi eccezionali la vera inversione di tendenza si avrà solo però nel primo decennio degli anni Duemila, quando il numero delle registe giapponesi aumenterà in maniera sensibile. Pertanto, i sei film di Tanaka Kinuyo, a cavallo tra il 1953 e il 1962, sono senza dubbio un caso unico e raro, e lo sono ancor più in considerazione dei temi e delle protagoniste: donne che affrontano con decisione drammi e destini anche avversi, in un contesto sociale di cambiamento.
La sceneggiatura del film fu regalata alla regista da Ozu Yasujirō e i temi sono quelli classici: nella casa di famiglia un padre anziano, interpretato da Ryū Chishū, il volto noto dei film del maestro, assiste al dipanarsi degli intrecci sentimentali delle figlie. Delle tre Setsuko è la più giovane e intraprendente anche se, proprio in un passaggio d’apertura Shoji, il cognato, le lancia letteralmente addosso un panno da lavare e lei si imbroncia, ma non reagisce. Subito dopo la macchina da presa entra nella casa e svela uno spazio costretto fatto di scale e pareti visivamente simili a grate, nel quale si muovono figure – le domestiche, le sorelle – a tratti celate allo sguardo.
Le strutture incombono. Anche quelle “sentimentali”, che vedono Setsuko dedicarsi con molto impegno per fare in modo che Ayako si interessi all’amico di famiglia che è arrivato per una visita: gli incastri di relazioni si sviluppano man mano seguendo schemi preordinati.
Kitakara Mie, nella parte della sorella minore, offre però fin da subito uno scarto a una direzione che parrebbe prevedibile perché il suo personaggio non è solo la ragazza estroversa e dinamica che soffre l’immobilità di Nara al confronto con Tokyo o che non perde occasione per inventarsi maneggi che possano portare le sorelle (e lei stessa) all’agognata ‘sistemazione’ matrimoniale: trasmette anche una neanche troppo velata carica erotica che evoca e anticipa per esempio certe protagoniste inafferrabili dei film di Masumura Yasuzō alle quali un’altra attrice indimenticabile come Wakao Ayako darà anni dopo corpo e gesti. Tanaka Kinuyo lascia che Setsuko si presenti come una ragazzina esuberante che subisce le maniere del giovane (dal quale peraltro è attratta, come sarà chiaro nel seguito della vicenda) per poi, subito dopo, cambiare registro e, in prospettiva, proporcela mentre in bicicletta si lancia alla ricerca del ragazzo e dell’amico in uno spazio aperto, in cui li raggiunge correndo, scivola sull’erba e si volta verso di loro, verso di noi, con uno sguardo che la immortala sexy e consapevole. È un riflesso, uno sguardo di rottura che si impone con intensità sorprendente.
La sorella maggiore, Chizuru, a un certo punto filosofeggia: «Le ragazze non sposate dovrebbero sorridere sempre», che non è esattamente un molto più tardo Girls just want to have fun, ma l’anelito di fuga dalle ‘grate’ del dramma familiare (e del sistema patriarcale) si percepisce: le donne di Tanaka Kinuyo in questo e altri suoi film percorrono la strada anche faticosa (come quella di Setsuko sui tacchi alti) della consapevolezza.
Dopo molto impegno per procurare ad Ayako un incontro con l’amico di famiglia – anche obbligando un’accondiscendente domestica (la stessa Tanaka) a fingersi Ayako al telefono – Setsuko avrà il proprio confronto con Shoji. La sequenza che suggella l’inizio della loro relazione – anticipata da un’inquadratura con due ciotole e bacchette – li ritrae all’aperto, mentre camminano insieme guardando la luna: un movimento della macchina da presa esclude a un certo punto l’uomo dall’inquadratura e la ragazza prosegue sola per un tratto, avanti a lui. Subito dopo però un altro movimento lo ’recupera’ e il passaggio si conclude con il dettaglio delle loro dita intrecciate.
Tra riprese a partire da spazi vuoti a composizioni che pongono le tre sorelle al centro di quadri formati da pareti o manifesti appesi, il film rimanda ai toni di Ozu; Chizuru poi, così come Noriko in Viaggio a Tokyo, è una vedova gentile che si dedica al padre (là era la nuora vedova di un anziano interpretato dallo stesso Ryū Chishū il quale però vorrebbe che lei considerasse di risposarsi: a loro due insieme la regista dedica il finale del film, prima di tornare sulla città e sui serafici cervi.
Claudia Bertolé
Titolo originale: 月は上りぬ (Tsuki wa noborinu); regia: Tanaka Kinuyo; sceneggiatura: Ozu Yasujirō, Saitō Ryōsuke; fotografia: Mine Shigeyoshi; musica: Saitō Takanobu; interpreti: Ryū Chishū (Asai Mokichi), Sano Shuji (Takasu Shunsuke), Yamane Hisako (Asai Chizuru), Sugi Yōko (Asai Ayako), Kitahara Mie (Asai Setsuko), Mishima Kō (Amamiya Wataru), Tanaka Kinuyo (Yoneya), Yasui Shōji (Yasui Shōji); produzione: Koi Hideo; durata: 102’; prima uscita in Giappone: 8 Gennaio 1955.