CITIZEN K (Yves MONTMAYEUR, 2021)
24° FAR EAST FILM FESTIVAL (Udine, 22 – 30 aprile 2022)
Il 29 aprile scorso il Far East Film Festival ha conferito il Gelso d’Oro alla carriera a Kitano Takeshi: la cerimonia si è svolta con il regista purtroppo non in presenza, ma in collegamento online da Tokyo. Il programma della ventiquattresima edizione del festival di cinema asiatico di Udine ha reso omaggio al cineasta proponendo, tra gli altri, il documentario Citizen K, che ne ripercorre la vicenda umana e artistica.
Yves Montmayeur, regista di documentari attento al mondo del cinema, soprattutto asiatico – si è concentrato nel tempo sia su generi, come gli yakuza movies o i pinku eiga, che su autori, come Miyazaki Hayao o Kawase Naomi – ci presenta Beat Takeshi (dal nome d’arte) attraverso le sue stesse parole, in una lunga intervista, che raccoglie le memorie più lontane del regista, quelle di quando viveva con la famiglia in un quartiere povero di Tokyo. «Vorrei mantenere la stessa sensibilità di quando ero bambino»: Kitano ricorda gli yakuza che giravano per le strade e anche l’emozione per l’arrivo del kamishibai, il teatrino ambulante che intratteneva i più giovani con le sue storie, ma che alla fine era stato rubato dagli stessi “piccoli teppisti” della zona.
Nel 1966 entra alla Meiji University, dovrebbe studiare ingegneria, ma i club, soprattutto quelli di Asakusa, lo attraggono. Così lascia l’università e segue il proprio mentore, il comico Fukami Kenzaburo. Nel 1974 fonda, insieme a Kaneko Jiro, il duo comico Two Beats, negli anni in cui il genere manzai è molto in voga. La consacrazione come attore arriva con Furyo, il film di Ōshima Nagisa del 1983: Kitano vi appare nei panni del sergente Hara, un ruolo drammatico con il quale cerca di prendere le distanze dalla figura del comico provocatore fino a quel momento incarnata negli spettacoli televisivi di intrattenimento. L’esordio dietro alla macchina da presa è del 1989, con Violent Cop, e il suo stile fatto di silenzi e violenza, prenderà ancora più corpo nei successivi Sonatine (1993) e Hana-bi, vincitore, quest’ultimo, del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 1997.
Il documentario di Montmayeur, che segue la carriera di Kitano fino ai più recenti sviluppi, si compone di un insieme di tasselli, e uno di questi è rappresentato senz’altro dai bellissimi disegni che integrano la storia proprio come in un kamishibai, così come dai quadri che ritraggono visi sfigurati o una natura mutante che il regista dipinse durante il periodo di convalescenza seguito a un grave incidente in motocicletta. Questi ultimi mi hanno ricordato Frida Kahlo, la pittrice messicana, che allo stesso modo in un periodo di sofferenza, costretta a letto, dava sfogo alla propria arte con rappresentazioni nelle quali prendevano vita fantasie naturali deformate e straordinarie.
Yves Montmayeur raccoglie diverse testimonianze, per esempio dell’attrice che interpretò il ruolo della moglie del gangster in Hana-bi, e anche di registi, come i cinesi Jia Zhangke e Diao Yinan. Il primo, in particolare, sostiene di apprezzare Kitano perché, come lui, cerca di «catturare il silenzio degli uomini», mettendo in scena personaggi che parlano poco, spesso prigionieri del proprio passato e di irriducibili valori tradizionali.
«Mi sono liberato del giudizio degli altri e accetto chi sono».
«Quando morirò il Giappone tirerà un sospiro di sollievo. E se il mondo sarà un posto migliore ne sarò felicissimo».
Il documentario, pur nella difficoltà di rappresentare una personalità così eclettica, offre un tributo appassionato alla libertà di un artista che non demorde e continua il suo percorso segnato dalla volontà di esprimere in maniera “pura” la propria arte, al di fuori di schemi predefiniti.
Claudia Bertolé
Titolo originale: Citizen Kitano; regia: Yves Montmayeur; sceneggiatura: Yves Montmayeur; fotografia: Yves Montmayeur, Yann Moreau, Stéphane Rossi, Constant Voisin; montaggio: Fabien Bouillaud; musica: Higashi Yōko; interpreti: Kitano Takeshi, Michel Temman, Kishimoto Kayoko, Yanagijima Katsumi, Koike Yuriko; produzione: Damien Le Boucher, Thierry Tripod; durata: 73’; nazione e anno: Francia, 2021.