22° NIPPON CONNECTION (Francoforte, 24-29 maggio 2022)
Japan’s Newest Directing Star. Così Mark Schilling ha definito Yoshida Keisuke, in un recente articolo su Variety. Ex collaboratore di Tsukamoto Shin’ya (ha lavorato come tecnico delle luci a A Snake of June, Vital e Nightmare Detective), Yoshida ha esordito alla regia nel 2005 e si è affermato con pellicole ben accolte dalla critica, come il thriller Himeanole (2016), Come On, Irene (2018) e soprattutto Blue (2021), ambientato nel mondo del pugilato e proiettato presso numerosi festival internazionali. Intolerance – sua ultima fatica, presentata nella sezione Nippon Cinema Now del Tokyo International Film Festival – è un intenso dramma sulla rielaborazione del dolore, nell’epoca in cui i media non danno pace a chi soffre, spettacolarizzandone le emozioni.
Kanon è una ragazzina timida e malinconica. Vive col padre pescatore Mitsuru – uomo severo e irascibile, incapace di percepire la sofferenza esistenziale della figlia – e vede di rado la madre, risposatasi con un altro uomo e in procinto di mettere al mondo un’altra bambina. Un giorno, Kanon è colta a rubare dei prodotti cosmetici in un supermercato e, provando a scappare, è inseguita dal manager Naoto e finisce per essere accidentalmente investita e uccisa da un’automobile e un camion. Travolto dall’attenzione mediatica, il padre della giovane appare subito disperato e inconsolabile e, anche di fronte alle scuse e al dolore dei coinvolti nell’incidente, rifiuta di perdonarli. Convinto che la figlia non possa aver derubato il supermercato, l’uomo si mette alla ricerca della verità, rivendicando la supremazia del proprio dolore e rifiutando qualsiasi condivisione della sofferenza con altri individui.
È proprio il dolore a essere protagonista indiscusso di Intolerance, in originale Kuuhaku, letteralmente “vuoto”. Mitsuru, padre della giovane defunta, pare quasi connotato da una forma di egoismo della sofferenza. Apparentemente insensibile all’evidente malessere della figlia, trascurata dai genitori e spesso sola, Mitsuru riscopre dopo la sua morte come Kanon rappresentasse l’unico centro della sua esistenza. È ciò che dice alla ex moglie Shoko, ricostruitasi una vita con un altro uomo e incinta di una bimba che ridarà senso alla sua vita, laddove a Mitsuru non rimane nulla, salvo il ricordo di Kanon e i sensi di colpa per non essere riuscito a cogliere appieno la sua infelicità. Proprio per questo, l’uomo appare incapace di condividere il proprio dolore con altri e, di fronte alle disperate scuse di Kaede, colei che ha accidentalmente investito Kanon, si dimostra completamente impassibile. Nemmeno dopo il suicidio della giovane donna, afflitta dai sensi di colpa, riesce a venir meno alla propria inflessibilità, in una sequenza di grande intensità drammatica, che vede la madre di Kaede continuare a scusarsi con Mitsuru, senza sortire reazioni particolari. Alla grandezza della figura del protagonista, senza dubbio la più interessante e riuscita del film, molto contribuisce la prova attoriale di Furata Arata, straordinario interprete che crea sul proprio volto una maschera gonfia di dolore, dando vita a un personaggio spesso sgradevole e quasi mostruoso nel proprio modo di soffrire, che solo nella parte finale riesce a generare un sentimento di vera empatia e compassione nello spettatore. A lui si affianca il personaggio di Naoto, il manager del supermercato, travolto dai sensi di colpa per aver inseguito Kanon e averne così, involontariamente, causato la morte. Per lui il dolore prende le forme dell’emarginazione sociale: il piccolo centro commerciale, attività avviata dai genitori e dunque percepita come parte della propria eredità famigliare, si svuota a poco a poco e si affaccia sul baratro del fallimento. Su Naoto, peraltro, emergono elementi ambigui, che fanno sospettare una sua non totale innocenza rispetto al destino di Kanon. Yoshida, volutamente, lascia questi aspetti irrisolti e, così facendo, allo spettatore non resta che affidarsi al personaggio che, con volto sofferente, nega qualsiasi colpa e appare realmente sconvolto rispetto all’accaduto. Il dolore di Mitsuru e Naoto, peraltro, è assistito rispettivamente dal giovane Ryoma, dipendente dell’azienda di pesca del protagonista, e dalla signora Kusakabe, impiegata presso il supermercato. È così che i due personaggi principali trovano sostegno in due dipendenti che, a modo loro, fungono da vestali della sofferenza, pronti a farsi carico anche degli aspetti più estremi e sgradevoli dei sentimenti luttuosi al centro del racconto. Attorno ai protagonisti, poi, ci sono i media: affamati di scandalo e violenza, di pianti e grida e soprattutto della funesta celebrità momentanea che travolge i personaggi, appaiono come gli insensibili testimoni di una vicenda tragica, in cui anche il coinvolgimento nella morte di una giovane può diventare l’occasione per chiedere di scattare un selfie.
Film discontinuo e multiforme come le fasi del dolore, a tratti un poco semplicistico (si pensi alla rappresentazione stereotipata dei giornalisti), Intolerance colpisce più per l’intensità delle interpretazioni che per l’originalità del tema e della messinscena, ma sa coinvolgere grazie a una narrazione solida e appassionante, che conferma Yoshida Keisuke come un nuovo autore del cinema giapponese contemporaneo, da seguire a ogni costo nelle prossime evoluzioni del suo percorso artistico.
Jacopo Barbero
Titolo originale: 空白 (Kuuhaku); regia e sceneggiatura: Yoshida Keisuke; fotografia: Shida Takayuki; montaggio: Shimoda Yu; musica: Sebu Hiroko; interpreti: Furuta Arata (Soeda Mitsuru), Matsuzaka Tōri (Aoyagi Naoto), Fujiwara Kisetsu (Nogi Ryoma), Itō Aoi (Soeda Kanon), Kataoka Reiko (Nakayama Midori), Shuri (Imai Wakana), Tabata Tomoko (Matsumoto Shoko), Terajima Shinobu (Kusakabe Asako); produzione: Kadokawa; durata: 107’; anno di produzione: 2021; uscita in Giappone: 23 settembre 2021.