TARGET (Hyoteki, NISHIJIMA Shinji, 2021)
NIPPON CONNECTION On Demand (29 maggio – 6 giugno 2022)
Uemura Takashi, corrispondente per l’Asahi Shinbun, nel 1991 scrive alcuni articoli denunciando il fenomeno delle comfort women, ragazze anche giovanissime strappate alle proprie famiglie nella Corea occupata dalle truppe giapponesi e costrette a subire costanti violenze sessuali da parte dei soldati. Una situazione che viene descritta come molto simile alla schiavitù, fatta di rapimenti, di abusi, di stupri continui. Storia scomoda, che il giornalista racconta anche con l’ausilio di interviste a donne anziane, che ricordano il trauma subito e il dolore mai dimenticato.
Trent’anni dopo viene attaccato dal giornalismo vicino al potere, accusato di aver costruito false notizie per fare scalpore e gettare discredito sul Giappone. Sono accuse pesanti: la sua famiglia riceve minacce, è costretto a lasciare i corsi che tiene all’università, la sua vita è sconvolta.
Nishijima ci mostra un uomo che non cede, che affronta un lungo percorso giudiziario, sostenuto dalla famiglia, da amici e persone che ne condividono i principi. Mi ha ricordato della battaglia di una ragazza coraggiosa, anche lei giornalista, Ito Shiori, violentata da un collega, e del suo percorso di sofferenza per poter ottenere un po’ di giustizia in uno scenario sociale decisamente ostile.
«Quando torno in Giappone mi sento come in un campo di battaglia»: è ciò che prova Uemura quando rientra nel proprio Paese, dove continua a subire vessazioni e a essere trattato come un traditore. Persino la figlia viene individuata in rete e diventa anche lei un bersaglio.
Il regista ci mostra lo sguardo impassibile e ambiguo della giornalista che lo accusa (Sakurai Yoshiko, nota per le posizioni nazionaliste), e gli interventi di Abe Shinzō nei quali sostiene la necessità di eliminare i riferimenti alla deplorevole vicenda delle comfort women dai libri di scuola al fine di «restaurare l’onore del Giappone».
Il film si snoda a cavallo tra due epoche, tra due Paesi, tra due esempi di oppressioni violente – quella perpetrata sulle ragazze coreane durante l’occupazione e quella che vorrebbe negare libertà di espressione a un giornalista – per arrivare a un unico finale: «La storia dimenticata si ripete», frase scolpita sulla pietra nel parco di Namsan, a Seoul, monito, ma anche oscuro presagio di un futuro senza memoria nel quale le colpe rimosse del passato non possono che far nascere nuovi demoni.
Come un filo rosso, dagli stupri di guerra, la violenza cola nella Storia e si fa revisionismo, negazione della libertà di stampa e censura delle notizie invise alle forze al potere.
Nello scenario disperante del documentario di Nishijima rimangono infine impressi i volti: quelli solcati dalle rughe di donne sopravvissute che evocano un passato di orrori, ma allo stesso tempo hanno la forza di aprirsi in un sorriso, quelli degli accusatori, supponenti e blindati in espressioni finte, quello di un uomo che continua a credere nel proprio lavoro e che, anche dopo che il suo appello è stato rigettato, non si nega e interviene alla conferenza stampa commosso e appassionato.
Claudia Bertolé
Titolo originale: 標的 (Hyoteki); regia: Nishijima Shinji; fotografia: Yutani Yoshikiyo; musica: Takeguchi Miki; interpreti: Uemura Takashi, Kim Hak-seon, Kanbara Hajime, Sakurai Yoshiko; produzione: Kawaida Hiroyuki; durata: 99’.