YEARNING (Midareru, NARUSE Mikio, 1964)
SONATINE CLASSICS
SFUMATURE DI GRIGIO: IL CINEMA DI NARUSE MIKIO
Nel Giappone del dopoguerra, la giovane Reiko ricostruisce caparbiamente, con le proprie forze, l’emporio del marito scomparso. L’attività fornisce sostentamento alla famiglia di lui, che comprende le velenose sorelle, la madre debole e opportunista e il turbolento fratello minore Koji, nei confronti del quale Reiko si dimostra sempre molto protettiva. Una sera, dopo un litigio, Koji dichiara a Reiko i propri sentimenti, tenuti lungamente segreti. La rivelazione innesca un profondo cambiamento in Reiko, che nel frattempo deve anche affrontare la concorrenza spietata del nuovo supermercato.
“Devi restare fedele alle tue idee; se non lo fai, se salti a destra e a sinistra, i risultati saranno vacui… Guarda me: sono rimasto lo stesso da prima della guerra fino ad oggi. Ciò che è cambiato è stata la moda: a volte ha coinciso con le mie idee, a volte no” – Naruse Mikio all’assistente regista Okamoto Kihachi (1)
Le parole di Naruse a Okamoto sono esemplari del suo modo di fare cinema: un cinema che non obbedisce ad altro che alla propria ispirazione, e che spesso reitera motivi, caratteri, ossessioni. Eppure i suoi film appaiono sempre nuovi e coinvolgenti perché riescono a catturare la vita, assorbendo le tensioni del presente e le sue contraddizioni. Le sue figure femminili, in particolare, sono allo stesso tempo rappresentative di un’epoca – forti e pazienti, martiri silenziose e tormentate – ma anche irriducibilmente uniche, dotate di una individualità che si esprime in comportamenti incoerenti ed emozionali. Il regista sa coglierne i dubbi, una volatile emozione, un pensiero nel suo farsi, con la discrezione e la sensibilità che contraddistinguono il suo tocco autoriale.
La protagonista Reiko è colta di continuo da ripensamenti, pulsioni, decisioni improvvise, in una rinnovata scoperta di se stessa che il film registra capillarmente. Ben due volte si rivolge a Koji con queste parole: “Vedi, io sono una donna…”, come se in quel “donna” fosse racchiuso un mistero di cui ella stessa è vittima. Reiko è una donna divisa, forse tra le più lacerate del cinema di Naruse: imprigionata dentro vecchi valori – metaforizzati dal vecchio emporio che ella stessa ha costruito e di cui è rimasta prigioniera – si scopre irrequieta, instabile dopo che Koji le confessa il suo amore. La vediamo spesso rassegnata, inquadrata all’interno del piccolo negozio di alimentari, come una cosa tra le cose, non differente dalle vecchie bilance, dagli scaffali, dal telefono: il dentro e il fuori della vita, osservati con uno sguardo a 360 gradi che coglie un mondo in trasformazione.
All’esterno, la città è scossa dalla presenza del nuovo supermarket che riduce alla miseria i piccoli commercianti (e il suicidio di uno di loro è al centro di una breve ma impressionante sequenza, interpretata da Nakakita Chieko, una delle attrici più amate da Naruse). Il supermarket non è solo un’entità aliena che sconvolge le abitudini, ma anche un suono invadente, l’irruzione di un marketing sonoro che si snoda tra le strade (con tanto di megafono). Le uova a cinque yen, contro gli undici yen dei piccoli empori, non sono più “cibo” e necessità ma oggetti di consumo: Naruse ce lo dimostra con una scena feroce e innovativa ambientata in un club notturno, dove i proprietari del nuovo supermercato, per passare il tempo, fanno ingurgitare a un gruppo di ragazze più uova nel minor tempo possibile. La sequenza è paradossale: primi piani di giovani con la bocca piena, un montaggio rapido su visi deformati, gonfi di uova, sul punto di vomitare. Sono immagini che, per composizione, audacia, irriverenza, sembrano anticipare quell’estetica del grottesco che tanta parte avrà nel cinema giapponese successivo. Attraverso questa sequenza avanguardistica e staccata stilisticamente dal resto del film, Naruse non solo ci fornisce il quadro sociale della nuova violenza capitalistica (il boss del supermarket ride dicendo: “le mie uova costano cinque yen, se voglio posso darle ai maiali”) ma ci presenta la sensibilità di Koji, che reagisce alla stupidità del gioco innescando una rissa, filmata al buio, tra le urla delle ragazze-maiali.
Reiko e Koji, con le loro personalità forti e di segno opposto, si attraggono a vicenda e si instillano dubbi reciproci: lei, forte e devota, dedica 18 anni della propria vita al negozio del marito defunto; una Cenerentola sfruttata dal cinismo delle velenose sorellastre. Koji, circondato da coetanee fatue e consapevole dell’opportunismo dei propri familiari, vede in Reiko una figura pura, luminosa. Il suo amore per lei diventa una “tempesta”– con tutto il valore trasformativo che Naruse affida ai fenomeni naturali – e fa tremare le fondamenta immobili della stasi in cui la donna si è volontariamente rinchiusa. Egli è l’emozione, la fuga dalla regola; antitradizionalista, nullafacente, rissoso, giocatore d’azzardo; eppure giovane, sincero, dotato d’un romanticismo che fa piazza pulita di ogni stantìo perbenismo: “Apri gli occhi! Perché è sbagliato amarti?” le dice tra le mura immote del tempio. Il montaggio fluisce lasciandoci poco tempo per ragionare sugli innumerevoli non detti. Il cinema di Naruse scorre veloce e ci coinvolge attivamente con un susseguirsi di segnali visivi, emotivi, di cui omette le interpretazioni. Questo lo rende simile alla vita.
Nello scontro tra due mondi – il fedele tradizionalismo di Reiko e l’ardire burrascoso di Koji – è possibile intravedere la Nouvelle Vague che innamora il classicismo di Naruse e lo incrina. L’attenzione stilistica di Yearning è profonda anche se non sistematizzata: il regista ci mostra i due protagonisti perennemente separati da linee verticali, da aperture, da luci e ombre; l’inquadratura è costantemente spezzata dalle linee, o divisa in avampiano e sfondo, dove Reiko e Koji si posizionano senza incontrarsi. Spesso li vediamo anche spalle contro spalle, e questa loro divisione pare quasi un gioco velatamete sadico di Naruse, che ci fa desiderare un bacio, un contatto.
L’avvicinamento si realizza nella magnifica e articolata scena sul treno, tra le cose più belle realizzate dal regista: i due, nell’unico vero momento di serenità che è concesso loro, lentamente si ritrovano sempre più vicini, inquadratura dopo inquadratura, mentre il convoglio si lancia attraverso paesaggi, città, luci notturne, fino a immergersi nella nebbia dove si consumerà la tragedia finale.Nella magica e sospesa città di Ginzan Onsen, densa di brume, Reiko si fa cogliere dall’ennesimo dubbio. L’amore si fa freddo e “umido” (come già in Floating Clouds, 1955) e la coppia cammina tra pozzanghere stringendosi infreddolita nei cappotti. Koji reagisce all’ennesimo rifiuto con tutto il romanticismo estremo e tragico di cui è capace, e il giorno seguente Reiko fa una scoperta terribile e dolorosa. Naruse ci regala la più misteriosa delle inquadrature sul volto dell’attrice, un volto come un paesaggio che muta: grigio, annuvolato, bagnato di pianto; poi, il nulla. Forse il primo piano più “contemporaneo” mai realizzato, per la sua capacità di cogliere l’emozione che passa e trascolora, in un viso che di colpo invecchia, perde ogni emozione, diventa un foglio bianco travolto dalla Storia.
Marcella Leonardi
Titolo originale: ( 乱れる, Midareru); regia: Naruse Mikio; sceneggiatura: Matsuyama Zenzo; fotografia: Yasumoto Jun; musiche: Saitō Ichirō; montaggio: Ooi Eiji; interpreti: Takamine Hideko (Reiko); Kayama Yūzō (Koji); Kusabue Mitsuko (Hisako); Nakakita Chieko (la signora Kaga); produzione: Toho; durata: 98’; prima uscita in Giappone: 15 gennaio 1964.
Note
(1) The Cinema of Naruse Mikio: Women and Japanese Modernity – Catherine Russell