LOVE LIFE (Rabu raifu, FUKADA Kōji, 2022)
SPECIALE FUKADA KŌJI
Yano Akiko canta «Non importa quanto siamo distanti, ti amerò per sempre», ispirato contrappunto musicale nella storia di una donna e di una famiglia, travolte da un terremoto di emozioni che non risparmia nessuno.
L’ultimo film di Fukada Kōji, presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia di quest’anno, si apre sulla vita (quasi del tutto) felice di Taeko e Jirō con il piccolo Keita, il bambino che lei ha avuto da un precedente matrimonio, giovanissimo campione del gioco di pedine Othello. Manca solo l’approvazione da parte dei genitori del marito, dal padre in particolar modo, che non sembra apprezzare il fatto che Jirō abbia sposato una donna separata e con un bambino. «Vorremmo un nipote tutto nostro» sibila con falsa gentilezza la suocera.
Improvvisamente però tutto cambia. Un incidente che coinvolge il bambino stravolge l’esistenza del microcosmo familiare, come nel gioco-metafora in un attimo ciò che era bianco diventa nero, e appare Park, l’ex marito di Taeko e padre di Keita, venuto a piangere il figlio.
Elemento di rottura di primo acchito meno dirompente se paragonato a precedenti nei film di Fukada (penso al personaggio interpretato da Asano Tadanobu in Harmonium, o a Hospitalité), l’uomo, coreano da parte di padre e sordomuto, innesca meccanismi di destabilizzazione nella coppia, a partire da quel pianto disperato che Taeko condivide con lui e con nessun altro.
Il dolore del lutto, le ombre e le luci di una famiglia: echeggiano rimandi da Kore’eda in Love Life. Oltre all’evidenza delle tematiche, difficile non notare come il padre scortese di Jirō ricordi il burbero genitore di Ryota in Still Walking, o come il treno che irrompe nell’immagine proprio nel momento in cui Taeko incontra Park al parco, sia lo stesso elemento di inquietudine reso similmente in Maborosi. Anche se, a ben vedere, Fukada pare concentrarsi maggiormente sui singoli percorsi di elaborazione della scossa interiore, prima di tornare a una famiglia ricomposta, anche se senza dubbio provata dal travaglio. Taeko si lascia affascinare dal dolore condiviso con quell’uomo apparentemente bisognoso d’affetto, che le rimane accanto quando lei entra nella vasca in cui è scivolato Keita, che la invita a preservare la memoria, ma che poi alla resa dei conti le mente, persegue i propri egoistici obiettivi e infine si allontana senza curarsi di lei. Nella splendida sequenza del matrimonio dell’altro figlio di Park in Corea, Taeko appare come una donna perplessa, ma presente a se stessa, e la sua danza accennata sotto la pioggia non sarà travolgente come quella di Kotoko nel film omonimo di Tsukamoto Shin’ya, ma sa allo stesso modo di liberatorio e di consapevolezza.
Una riflessione sulla comunicazione pervade poi tutto il film: Fukada – un po’ come Hamaguchi Ryūsuke in Drive my Car – fa interagire i suoi personaggi in tanti modi: con cartelli di lettere che compongono frasi – come succede nella sequenza iniziale -, con il linguaggio dei segni che si mescola alle parole, con una lingua diversa e, infine, con gli sguardi. Gli occhi della ex cercano Jirō fin dalle prime battute, lo stesso Jirō che non riesce a parlare guardando la donna negli occhi.
Dopo la separazione, dopo che entrambi avranno fatto un tuffo nel proprio passato (Jirō con la fidanzata di un tempo e Taeko con l’ex marito) e si ritrovano per ipotizzare un futuro insieme, Taeko rivendica la propria esigenza di condivisione che passa attraverso lo sguardo, e lo manifesta in maniera decisa. Subito dopo il regista li coglie dall’alto, usciti di casa per una passeggiata, mentre attraversano una grande zona d’ombra e poi appaiono per un breve tratto insieme alla luce del sole, prima di sparire alla vista.
Claudia Bertolé
Titolo originale: ラブライフ (Rabu raifu); regia: Fukada Kōji; sceneggiatura: Fukada Kōji; fotografia: Yamamoto Hideo; montaggio: Sylvie Lager, Fukada Kōji; musica: Olivier Goinard; interpreti: Kimura Fumino (Taeko), Nagayama Kento (Jirō), Shimada Tetsuta (Keita), Sunada Atom (Park), Yamazaki Hirona (Yamazaki), Kanno Misuzu (Myoe), Taguchi Tomorowo (Makoto); produzione: Hattori Yasuhiko, Sawada Masa, Oyama Yoshito; prima uscita Giappone: 9 settembre 2022; durata: 123’.