IL RITRATTO DELLA SIGNORA YUKI (Yuki fujin eizu, MIZOGUCHI Kenji, 1950)
Disponibile su Amazon Prime Video
di Dario Tomasi
Gli ultimi film che Mizoguchi gira negli anni dell’occupazione militare americana, prima dei suoi grandi capolavori degli anni Cinquanta, costituiscono un’ideale trilogia. Il ritratto della signora Yuki (1950), La signora Oyū (1951) e La signora di Musashino (1951) sono infatti tre adattamenti di romanzi di scrittori di primo piano della letteratura giapponese del Novecento, pervasi da un sottile e ambiguo erotismo, costruiti intorno a figure femminili d’ambiente sociale elevato, divise tra i propri sentimenti e desideri, da una parte, e gli obblighi sociali e morali, dall’altra. Ma soprattutto sono tre storie d’amore tristi e infelici, dove chi veramente ama è destinato alla sconfitta, se non alla morte. Tratto da un romanzo di Funabashi Seiichi è Il Ritratto Della Signora Yuki.
La giovane Hamako prende servizio presso la casa della signora Yuki, moglie di Naoyuki, un uomo dissoluto che sperpera il denaro della donna e la tradisce apertamente con la cantante Ayako. Vicino a Yuki è Masaya, un giovane e timido insegnante di koto. La donna trova nell’uomo un valido conforto ma non riesce ad abbandonare il marito che esercita su di lei una forte attrazione sessuale. La casa di Yuki viene trasformata in un albergo, presso cui lavorano Hamako, il giovane Seitarō e una vecchia domestica, tutti preoccupati dei maltrattamenti che la signora deve subire dal marito. Questi, in realtà, si fa vivo solo di tanto in tanto, portando con sé l’amante e un suo socio in affari, Tachioka. Ancora una volta vittima della violenza del marito, Yuki tenta inutilmente di suicidarsi. Il medico che la visita scopre che è incinta. Naoyuki ne approfitta, accusa la donna di essere l’amante di Masaya e minaccia di chiedere il divorzio, con l’evidente intento di appropriarsi dei beni della moglie. A spalleggiarlo ci sono Ayako e Tachioka, in realtà amanti. Sarà la stessa Ayako a impossessarsi dell’albergo. Scoperto di essere stato tradito, Naoyuki cerca di ritornare dalla moglie. Ma è ormai troppo tardi: la donna si è lasciata annegare in un lago.
Il peccato di Yuki è quello della carne. La donna odia il marito, volgare e spregevole, ma, come lei stessa afferma, il suo corpo non vuole ascoltare ragioni. Mizoguchi dà forma a questo desiderio spingendosi ai limiti del visibile (per l’epoca) e avrebbe voluto forse andare oltre, se la censura glielo avesse concesso. In più scene vediamo Yuki soccombere al proprio desiderio e cedere alla tentazione rappresentata dal corpo di Naoyuki e, in almeno due momenti, il film si spinge ad alludere a situazioni a tre. La dittatura della carne, di cui la donna è vittima, potrà essere sconfitta solo attraverso il suicidio, come del resto la stessa Yuki coscientemente afferma dopo avere una prima volta tentato di uccidersi: «Non c’era altra soluzione per me. Volevo sbarazzarmi del mio corpo».
Un’altra figura chiave del film è quella di Masaya, potenzialmente l’altro uomo di Yuki, colui che potrebbe salvarla, strappandola al volgare marito. Ma, come quasi sempre accade in Mizoguchi, Masaya è un uomo debole e incapace di imporsi (del resto, l’attore che lo interpreta è quell’Uehara Ken che nel cinema giapponese del periodo rappresenta una delle incarnazioni più efficaci di tale tipo drammatico).
Felicemente letterario, per la complessità che segna i suoi personaggi, il film attribuisce a Masaya anche un’altra significativa funzione, quella di rappresentare nel film l’unico felice tentativo di mediazione fra passato e presente. Naoyuki, al contrario, sembra farsi portatore di quei valori del passato che in realtà garantivano il potere e il sopruso maschile — in una scena chiede a Yuki se ha dimenticato i «legami feudali», in un’altra si rivolge a Masaya dicendogli: «Voi parlate di democrazia, ma volete fare quello che vi pare» —; nei fatti, partecipando al complotto che vuole privare Yuki della sua proprietà, egli rappresenta il deprecabile trasformismo di un triste passato che cerca di far suo uno squallido presente. Yuki, infine, rimane prigioniera delle sue origini aristocratiche, di una tradizione che non sa e forse non può scendere a patti con un nuovo mondo che del resto appare peggiore — per quanto possibile — di quello dell’anteguerra. La sua morte acquista così una nuova valenza simbolica: è anche l’inevitabile fine di un’intera classe.
La dialettica fra tradizione e modernità organizza anche lo stile visivo e narrativo del film. Il ritratto della signora Yuki è certamente uno dei lavori di Mizoguchi che più cerca di mediare tra modalità di rappresentazione tipiche del regista e soluzioni di messa in scena proprie del patrimonio occidentale. Tra queste ultime c’è un uso, molto più insistito del solito, di effetti di montaggio e, in particolare, di raccordi in avanti, sempre in occasione di momenti di forte intensità drammatica. Relativamente frequenti anche i piani ravvicinati e i raccordi di sguardo. Uscita da un ipotetico «manuale del film noir» sembra la scena in cui Naoyuki scopre il corpo di Masaya nella stanza della moglie: inquadrature di passi, luci contrastate e dal basso, giochi d’ombra, personaggi che spiano, musica a effetto, piani di spalle, porte che scorrono gettando fasci di luce a terra, senso d’attesa e di mistero (figura 1).
L’uso dell’ellissi, che nasconde allo spettatore la rivelazione del dottore sul fatto che Yuki sia incinta, serve a creare un tipico colpo di scena nel momento in cui il marito chiede alla donna, anch’ella ignara come lo spettatore, di chi sia il bambino di cui è in attesa. Il motivo del complotto, infine, che ha come sua vittima non solo Yuki ma anche, come scopriremo alla fine, lo stesso marito, conferisce al film una struttura narrativa che si affida, almeno parzialmente, alle figure della suspense e della sorpresa.
Tutto ciò non significa che i momenti migliori del film non siano però espressione della parte più personale della messa in scena di Mizoguchi, fatta di piani sequenza e long take, elaborati movimenti di macchina e personaggi, attenta disposizione del profilmico, profondità di campo e montaggio interno. Almeno due esempi di grande maestria: il primo è quello in cui a Tokyo, subito dopo la morte del visconte, Naoyuki “costringe” la moglie a far l’amore con lui. Il crescendo drammatico della scena è affidato a un seducente gioco visivo. Inizialmente i due personaggi sono inquadrati in piedi, a destra, sullo sfondo del piano, incorniciati dal vano di una porta scorrevole aperta. Sulla sinistra, una tendina di bambù abbassata, che consente tuttavia di intravedere ciò che è oltre essa, restringe leggermente l’ampiezza del piano. Dopo qualche istante l’uomo avanza verso la cinepresa, accompagnato da un leggero movimento di macchina che estende l’area occupata dalla tendina di bambù a un terzo dell’inquadratura. La donna ha ormai ceduto e il suo essere ancora una volta sopraffatta e prigioniera del proprio desiderio sessuale viene visivamente espresso dalle altre due tendine, abbassate in successione dall’uomo, che in progressione finiscono col coprire l’intero spazio del piano (figura 2).
La straordinaria capacità di Mizoguchi di giocare su queste drammatiche variazioni di quadro all’interno di un unico piano, attraverso le più diverse soluzioni di messa in scena, trova un altro efficace esempio nell’episodio in cui Tachioka, l’amico del marito e il complice di Ayako, tenta di abbindolare Yuki. La scena si divide in due parti: nella prima Yuki è con Hamako e la vecchia domestica, nella seconda il posto delle due donne è preso da Tachioka. Ciò che, dal nostro punto di vista, è significativo della scena sono gli spostamenti di Yuki, che modulano lo sviluppo narrativo dell’evento. Tali spostamenti sono organizzati da Mizoguchi attraverso i diversi posti a sedere presenti nell’ambiente. Ci troviamo difatti in un salotto dell’albergo composto da un divano e due poltrone. Nel corso della scena — un piano sequenza — Yuki, inizialmente seduta sul posto a destra del divano, si alzerà e siederà per ben tre volte, accompagnata da leggeri movimenti di macchina, finendo con l’occupare a turno tutti e quattro i posti disponibili della stanza. Ognuna di queste posizioni che la donna progressivamente occupa corrisponde a un vero e proprio stadio emotivo di quello che è il suo calvario (figura 3).
Titolo originale: 雪夫人絵図 (Yuki fujin ezu); regia: Mizoguchi Kenji; soggetto: da un romanzo di Funabashi Seiichi; sceneggiatura: Yoda Yoshikata, Funabashi Kazuro; fotografia: Ohara Jōji; scenografia: Mizutani Hiroshi; montaggio: Gotō Toshio, Timba Shiro; musica: Hayasaka Fumio; interpreti e personaggi: Yuki (Kogure Michiyo), Masaya (Uehara Ken), Kuga Yoshiko (Hamako), Naoyuki (Yanagi Eijirō), Ayako (Hamada Yuriko); produzione: Shintōhō; durata: 88’; prima uscita giapponese: 21 ottobre 1950.