RIVERSIDE MUKOLITTA (Kawapperi Mukolitta, OGIGAMI Naoko, 2021)
CAMERA JAPAN FESTIVAL (Rotterdam, 22 – 25 settembre / Amsterdam – 29 settembre – 2 ottobre)
di Claudia Bertolé
L’ultimo film di Ogigami Naoko pare prendere le distanze da una poetica cinematografica che è stata definita di “guarigione emozionale”, da storie prevalentemente orientate a un pubblico femminile e costruite attorno a personaggi, donne per lo più, alla ricerca di equilibrio e accettazione personale. Penso a Yoshino’s Barber Shop, a Rent-a-Cat, a Kamome Diner. Da questo punto di vista Riverside Mukolitta, adattamento di un romanzo della regista, introduce uno scarto evidente: protagonista maschile alle prese con l’irrisolto del proprio passato e una riflessione – fin dal titolo – sul tempo, e anche sulla morte e sui sentimenti.
Yamada Takeshi è un ragazzo silenzioso, appena trasferitosi in un paesino nella regione di Hokoriku. Trova lavoro in una fabbrica che produce pasta di pesce salato (shiokara) e alloggio in un piccolo condominio dal nome evocativo, ‘Kawapperi Mukolitta’ (il riferimento è alla scansione del tempo negli scritti buddhisti). Nella nuova abitazione, Takeshi viene a contatto con la comunità che lì risiede: con Shimada Kozo, un vicino invadente che si propone fin da subito perché vorrebbe a tutti i costi che Takeshi gli permettesse di utilizzare il suo bagno, con padre e figlio che insieme svolgono un’attività di vendita porta a porta di tombe, con Shiori, una giovane vedova madre di una bambina. A poco a poco, durante le ore e i giorni condivisi, le ferite del passato, non solo di Takeshi, vengono alla luce.
Ricorrono spesso inquadrature di ponti in Riverside Mukolitta: fin dalle prime sequenze d’apertura del film e poi alcune, successive, nelle quali uno dei bambini si trova davanti a una montagna di rifiuti, proprio tra due strutture enormi che collegano lembi di terra superando il fiume. Attraverso il ponte, Takeshi è come entrasse in un luogo-non luogo nel quale i gesti ripetuti, la scansione delle ore, persino l’insistenza del vicino, diventano il ritmo dell’esigenza che emerge dal profondo, sempre più impellente: l’elaborazione del trauma per il padre scomparso dalla sua vita del quale gli viene comunicata la morte, il senso di perdita, e poi la ‘gestione’ delle ceneri del genitore che si è infine deciso a recuperare e che riposano in un’urna che di notte brilla di una luce inquietante.
Con il suo stile pacato e con un senso del surreale che si insinua – come nel passaggio in cui, al “deposito” delle ceneri dei defunti, un addetto solerte fa notare a Takeshi la bellezza dell’osso ioide rimasto intatto – la regista affronta temi importanti: non solo la morte e la voragine di irrisolto che porta con sé, ma anche il senso di tanti piccoli momenti di felicità nella vita, qui evidenziati dai momenti condivisi, dai pasti consumati insieme. In questa improbabile “terra del confronto” emergono anche sentimenti non particolarmente positivi o velati di ambiguità: sono quelli di Shiori, con riguardo al proprio destino che l’ha portata a perdere il marito ancora giovane, e che un giorno – dopo un incontro suggestivo su un ponte – confiderà a Takeshi.
In conclusione, e con ciò a mio parere riducendo notevolmente la distanza di cui si diceva in apertura rispetto alle opere precedenti, sarà proprio la bizzarra comunità – nella quale senza troppo clamore trova posto anche il fantasma di un’anziana che viveva lì tempo prima – a tessere una rete di affetto attorno al ragazzo e a dare una sorta di “composizione” al dolore di Takeshi, in modo da consentirgli di raggiungere un nuovo equilibrio.
Titolo originale: 川っぺりムコリッタ(Kawapperi Mukolitta); regia: Ogigami Naoko; sceneggiatura: Ogigami Naoko; fotografia: Ando Hiroki; interpreti: Matsuyama Ken’ichi (Yamada Takeshi), Muro Tsuyoshi (Shimada Kozo), Mitsushima Hikari (Minami Shiori),Yoshioka Hidetaka (Mizoguchi Ken’ichi), Emoto Tasuku (Tsutsumishita Yasuo), Eguchi Noriko (Nakashima); produzione: Hori Shintaro, Nagai Takuro, Nozoe Ryōko; prima uscita Giappone: 16 settembre 2022; durata: 120’.