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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

A WIFE CONFESSES (Tsuma wa kokuhaku suru, MASUMURA Yasuzō, 1961)

SPECIALE MASUMURA YASUZŌ E WAKAO AYAKO  

di Matteo Boscarol

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Il film rappresenta un punto cardine per la carriera sia di Masumura che di Wakao, in quanto instaura un diverso modus operandi fra i due, connubio che influenzerà la qualità della loro collaborazione seguente, ma soprattutto dimostra che l’attrice è in grado di donare spessore e un’ampia gamma di sfumature ai personaggi da lei interpretati. 

Ayako viene accusata di aver ucciso suo marito quando, durante un’escursione in montagna, taglia la corda che lo teneva sospeso a mezz’aria dopo essere scivolato. Il processo però non è così semplice perché se non avesse tagliato la corda, Ayako sarebbe quasi sicuramente finita soffocata o caduta assieme al marito in fondo al crepaccio. A complicare le cose la presenza del giovane Kōda, che si vocifera abbia una relazione con la donna. 

Il primo piano di una macchina da presa dei media accorsi al processo della donna, uomini che la aspettano per circondarla e subissarla di domande e che la accompagnano, fra spintoni, fino all’interno del tribunale. Le primissime immagini contengono già molto di quello che sarà sviluppato nel resto del film, siamo cioè introdotti in un mondo fortemente maschio-centrico che opprime con la sua mera presenza, acuito anche dallo sguardo insistente e moraleggiante dei mass-media. Tutti i giornalisti che vedremo nel prosieguo del lavoro sono uomini, così come sono maschi anche la maggior parte dei colleghi di Kōda, il giovane con cui si vocifera che Ayako abbia una relazione, che con i loro sguardi di disprezzo e critica emettono una condanna che pare già definitiva. Nei primi due terzi del film, la maggior parte della vicenda si svolge nell’aula del tribunale, ci sono alcune scene in flashback, quelle che raccontano dell’incidente in montagna, quelle che ritraggono la vita infernale da sposata di Ayako e la relazione, dapprima amichevole, che comincia a coltivare con Kōda. Sono proprio le immagini del processo quelle che funzionano da vero e proprio fulcro semantico per il film, nell’aula del tribunale Ayako è sempre circondata da uomini, e in un paio di occasioni anche da personaggi femminili a dire il vero, che la accusano di non essere stata fedele al marito, di non esser morta assieme a lui, di non essersi sacrificata quindi da brava moglie. Questo senso di oppressione, che non è derivato dalla legge, che infatti alla fine la assolverà, ma dalla società più in generale, viene ben simbolizzato dalla composizione dell’immagine. Spesso Ayako è ritratta in secondo piano circondata da uomini e sovrastata dalla nuca del giudice, o di uno dei giornalisti presenti, in primissimo piano che occupano la maggior parte dell’inquadratura.

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Questo senso quasi di soffocamento, di accerchiamento e sconfitta, viene magnificato anche dall’atteggiamento di Ayako che, fin dalla sua prima entrata in scena, tiene la testa sempre chinata. Questo peso che la sfianca nasce dal periodo della guerra, quando perde i genitori, e in seguito continua quando frequenta l’università, non ha soldi e mangia di rado, pensando spesso anche di ricorrere al suicidio. Il matrimonio con il professor Takigawa, personaggio disgustoso, quasi malefico e tipico di molti altri film di Masumura, si veda ad esempio l’ottimo Play It Cool (Denki kurage, 1970), sembra essere una sorta di via d’uscita per la donna, almeno dal punto di vista economico, ma finisce per trasformarsi in una trappola ancora peggiore. Il marito infatti la trascura, relegandola quasi ad un ruolo di serva, non ha interesse ad avere figli, e alla compagnia della moglie preferisce le escursioni in montagna. Come in altri lavori di Masumura, ma anche dei giovani registi a lui contemporanei, l’uomo di mezza età, qui il professor Takigawa, rappresenta la generazione dei padri che ha portato il Giappone alla follia della guerra e della militarizzazione, il vecchio, ancora troppo presente nel periodo post bellico, contro cui la generazione dei nuovi cineasti cercava di ribellarsi.

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Dopo essersi sposata, Ayako conosce Kōda, giovane che lavora per una compagnia di assicurazioni e che spesso visita la casa del professore. Qui l’atteggiamento della testa chinata assume simbolicamente un altro significato, o meglio, può essere letto come l’altra faccia della medaglia. Se da un lato, come si scriveva, la testa chinata è segno di forzata sottomissione alla morale della società, dall’altra è una posizione che espone la pelle dietro la nuca, specialmente quando la donna indossa il kimono. Si tratta di una delle parti più erotiche della figura femminile, almeno nel modo in cui è stata spesso rappresentata e usata nel cinema giapponese. Ecco allora che il capo chinato simbolizza tanto l’oppressione che la societá maschio-centrica riserva ed esige dalla donna, ma allo stesso tempo simboleggia anche l’erotismo usato dal personaggio interpretato da Wakao per sfuggire e liberarsi del laccio in cui è caduta sposandosi. È in questa ambiguità magnificamente creata da Wakao che risiede la grandezza del personaggio e del film. In fin dei conti, non solo abbiamo l’interesse per l’individuo e il suo rifiuto e ribellione contro le istituzioni che Masumura, per sua stessa ammissione, ha assorbito durante il suo periodo di studio al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, ma anche la complessa costruzione di un personaggio femminile che cerca di crearsi una vita propria e felice. Il desiderio di Ayako è quasi rivoluzionario per il tempo, è una donna che vuole semplicemente la felicità. A questo proposito è centrale la sua dichiarazione finale prima del verdetto, quando dice che se dovesse essere giudicata innocente si risposerebbe e cercherebbe di avere un matrimonio felice e una vita piena di gioia. 

Il terzo atto, quello che si sviluppa dopo che Ayako è giudicata innocente, è quello che eleva ancora di più A Wife Confesses al di sopra del tipico dramma giudiziario. Con i soldi ricevuti dall’assicurazione la donna compra un appartamento in una zona centrale di Tokyo e invita Kōda a vivere con lei, i due si erano avvicinati durante gli ultimi giorni del processo, tanto che il giovane aveva deciso di rompere il suo fidanzamento con la sua ragazza per cominciare una relazione, ufficiale, con Ayako. Kōda è sorpreso dalla scelta di Ayako, l’appartamento è troppo caro e secondo il ragazzo lei doveva andare a vivere assieme a lui nel suo piccolo appartamento di periferia, di fatto quindi non accettando la sua libertà e il suo desiderio di donna. L’appartamento, i mobili di lusso, financo la bottiglia di vino rosso stappata per celebrare l’occasione, sono forse eccessivi per una persona che fino a poche ore prima era stata accusata di voler usare l’assicurazione del marito per rifarsi una vita, ma Ayako vuole “semplicemente” godersi la vita e questo sembra non essere accettato da nessuno dei personaggi maschili presenti nel film. Interessante e significativo è poi che durante tutta la loro relazione, Kōda continui a chiamare Ayako “okusan”, termine con cui si chiama la moglie di un altro, e mai con il nome proprio Ayako. Questo quasi a gettare un ombra di distanza fra i due e, forse ancora più importante, quasi a indicare che lei non debba avere un’individualità e volontà proprie, ma che la sua sia un’esistenza di luce riflessa, sempre la moglie di qualcuno e mai se stessa. In questo senso il personaggio creato da Wakao è un qualcosa di nuovo per il cinema di Masumura, un personaggio dalle forti tensioni femministe, e che è il risultato di una “calma battaglia” fra il regista e l’attrice, come Wakao stessa ha avuto modo di dichiarare. A Wife Confesses è un punto di snodo quindi, anche perchè inaugura questo connubio attraverso il quale “la folle passione di Wakao così come diretta da Masumura, viene stemperata dall’interpretazione della stessa attrice che permea il personaggio con un’umanità e autenticità evidenti anche allo spettatore.” (Saitō Ayako, The Collaboration of Ayako Wakao and Yasuzō Masumura). Un altro esempio della conquistata grandezza di Wakao come attrice, la si può vedere in un film uscito lo stesso anno, qualche mese prima del film qui trattato, A Geisha’s Diary (Onna wa nodo umareru, 1961), opera assai diversa, ma in cui Kawashima Yūzō e l’attrice creano un altro complesso e affascinante personaggio femminile in difficoltà nella società giapponese contemporanea. 


Titolo originale:妻は告白する (Tsuma wa kokuhaku suru); regia: Masumura Yasuzō; sceneggiatura: Ide Masato, dal romanzo di Maruyama Masaya; fotografia: Kobayashi Setsuo; sonoro: Hasegawa Mitsuo; montaggio: Nakashizu Tatsuji; musiche: Manabe Riichirō; interpreti:  Wakao Ayako (Ayako); Kawaguchi Hiroshi (Kōda), Ozawa Eitarō (Takigawa); produzione: Daiei; durata: 91′; prima uscita in Giappone: 29 ottobre 1961.

 

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