Maria Roberta Novielli, STORIA DEL CINEMA GIAPPONESE NEL NUOVO MILLENNIO
IL CINEMA GIAPPONESE IN LIBRERIA
di Dario Tomasi
Proseguendo il lavoro avviato con Storia del cinema giapponese (2001) e Animerama. Storia del cinema d’animazione giapponese (2015), Maria Roberta Novielli, docente di cinema giapponese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, offre un’utile e stimolante guida introduttiva al cinema nipponico contemporaneo. L’autrice opta per un approccio più sociologico che estetico, prestando maggiore attenzione a come il cinema possa rivelare certi aspetti e tendenze della società contemporanea, e meno alle sue peculiarità espressive, di stile e uso del linguaggio. In egual misura un criterio estensivo, che tende ad abbracciare il fenomeno studiato nella sua totalità, ha la meglio su uno intensivo, che punterebbe invece sull’approfondimento di alcuni singoli aspetti.
Con una certa abilità, Maria Roberta Novielli struttura e mixa il suo indice attraverso tre direzioni principali: le tendenze (i film sui giovani, sulla famiglia, sulle donne, sulle e delle minoranze, sui nuovi media e l’universo del digitale, sugli otaku e gli hikikomori, sul bullismo, su Fukushima…), i generi (l’horror, il jidaigeki, i film criminali e sul mondo della yakuza, il cinema erotico, la commedia…) e gli autori (il più citato e ricorrente è Miike Takashi, cui si deve anche una breve introduzione al libro, e a cui è dedicato un intero paragrafo, come è anche per Kitano Takeshi, Sono Sion, Koreeda Hirokazu, Wakamatsu Kōji, Tsukamoto Shin’ya e Hara Kazuo, ma non a Kurosawa Kiyoshi, comunque ampiamente citato in diverse pagine). Altra caratteristica positiva del libro, proprio in conseguenza alla sua già citata dimensione estensiva, è l’aver trovato il modo di indicare e osservare fenomeni in qualche modo “minori” e aver così tenuto conto sì del cinema d’autore – quello più conosciuto in Occidente – ma anche di quello commerciale, da una parte, e di quello più indipendente e a basso budget, dall’altra. Così come pregevole è l’essere riusciti a soffermarsi, cosa che si traduce in una serie di copiose e utili informazioni, su quel contesto di politica culturale, produzione ed esercizio senza il quale nessuna cinematografia nazionale potrebbe di fatto esistere.
Si farebbe davvero fatica a individuare qualche “assenza”, almeno informativa, nel libro della Novielli, solo la pignoleria di chi scrive potrebbe lamentare il fatto che non sia citato un film come Symbol (Shinboru, Matsumoto Hitoshi, 2009) che, presentato in diversi festival occidentali, è, a parere di chi scrive, uno dei film più innovativi e originali del cinema giapponese del nuovo millennio, così come avrebbe forse potuto trovare posto, come giustamente accade per il documentario, un paragrafo sul cinema sperimentale (pensiamo a un filmmaker come Makino Takashi). Per quel che riguarda, invece, l’esiguo spazio dato al cinema d’animazione, questo è ampiamente giustificato dall’altro e già citato libro che Maria Roberta Novielli ha dedicato all’argomento.
Spiace un po’ di più, invece, notare l’assenza di riferimenti, sia nel testo, sia nella bibliografia, alla non così limitata produzione editoriale italiana sul cinema giapponese contemporaneo. Mancano difatti all’appello, con l’eccezione di Stefano Locati e il suo La spada del destino, 2018, gli studi di Giacomo Calorio (To the Digital Observer. Il cinema giapponese contemporaneo attraverso il monitor, 2019; Mondi che cadono. Il cinema di Kurosawa Kiyoshi, 2007; Horror dal Giappone e dal resto dell’Asia, 2005); di Claudia Bertolé (Splendidi riflessi di ciò che manca. Il cinema di Koreeda Hirokazu, 2013, di cui uscirà a breve una nuova e aggiornata edizione); di Marco Dalla Gassa e del suo collaboratore (Il cinema dell’Estremo Oriente. Cina, Corea del Sud, Giappone, Hong Kong, Taiwan, dagli anni Ottanta ad oggi, 2010), e, ancora per la curatela quest’ultimo, sia di Anime perdute. Il cinema di Miike Takashi, 2007, e sia di, in collaborazione con Franco Picollo, Il signore del caos. Sono Sion, 2013.