DRYADS IN A SNOW VALLEY (Kaze no hamon, KOBAYASHI Shigeru, 2015)
JFF+ INDEPENDENT CINEMA
Disponibile gratuitamente fino al 15 marzo 2023 a questo link
di Matteo Boscarol
Secondo dei dodici film proposti da JFF+ Independent Cinema (che saranno tutti qui recensiti) e selezionati da altrettanti mini-theater (piccole, coraggiose e attivissime sale dedicate al cinema indipendente, che costituiscono una delle più belle realtà del panorama culturale giapponese contemporaneo), Dryads in a Snow Valley osserva, per un periodo di circa cinque anni, la vita di una coppia che si è trasferita dalla città in un zona montana nella prefettura di Niigata.
La quotidianità nella zona di Echigo-Tsumari è scandita dal lavoro nei campi, la riparazione del tetto, lo spalare della neve che si accumula copiosa per lunghi periodi dell’anno, ma soprattutto da un senso di comunità con gli altri abitanti della zona e con l’ambiente circostante.
Kobayashi Shigeru realizza questo film per uscire da una sorta di impasse e crisi che lo aveva colpito dopo la morte dell’amico e regista Satō Makoto, con cui ha formato un sodalizio in due dei più importanti lavori di non-fiction giapponesi usciti negli ultimi tre decenni. Kobayashi è stato infatti direttore della fotografia e cameraman sia per Living on the River Agano (1992) che per il suo seguito, Memories of Agano (2005). Dryad in a Snow Valley si apre proprio con un ovvio omaggio a quest’ultimo, uno schermo fluttuante sistemato all’aperto in mezzo alla natura dove le persone accorse assistono ad uno spettacolo.
Della prima esperienza con Satō, Living on the River Agano, Kobayashi ne ripete in qualche modo anche l’approccio metodologico. Nel film del 1992 la troupe visse nel villaggio per più di due anni formando un forte legame con gli abitanti della zona. In Dryads in a Snow Valley, Kobayashi e collaboratori non si spingono fino a tanto, il film è stato sì girato nel corso di cinque anni ma nei quali la troupe, solo a intervalli, ha visitato la valle, riuscendo però a stabilire un simile rapporto di fiducia e di amicizia fra soggetto filmante e oggetto filmato. Il protagonista del documentario, e l’occasione da cui il lavoro è scaturito, è Kogure Shigeo, cameraman amico di Kobayashi che, assieme alla moglie, decide di lasciare Tokyo ed il suo lavoro per trasferirsi in un villaggio montano in Niigata. Il documentario segue la vita di questa coppia e il forte senso di comunità che anima la zona, una sorta di sostentamento reciproco necessario, dal lavoro nei campi di riso, all’allevamento di animali, dalla tintura tradizionale, alla neve che si accumula anche fino ai cinque metri in inverno. Attraverso la descrizione di questa quotidianità, che nel marzo del 2011 viene scossa, letteralmente, dal terremoto che colpì il Tōhoku, Kobayashi continua quel filone del documentario giapponese che porta sullo schermo la vita nelle aree rurali dell’arcipelago e sottolinea l’importanza culturale e pratica che questi stili di vita rivestono ancora oggi per l’equilibrio dell’arcipelago. Come dichiarato dallo stesso regista in un’intervista, mantenendo vivo il satoyama, il modo in cui la vita delle piccole comunità rurali si compenetra a quella naturale delle montagne e dei boschi, si garantisce un certo equilibrio ecologico e si evitano anche alcuni rischi di grandi disastri “naturali”. Ad un livello più ampio il film presenta anche la situazione che accomuna molte zone rurali giapponesi, che sempre di più si stanno spopolando, i giovani si spostano nelle aree urbane, causando la scomparsa di modi di vita e di culture particolari. In questo senso, verso la fine del lavoro viene mostrata la demolizione di una vecchia abitazione di montagna, simbolico passaggio che per il significato che ricopre nel film ricorda una scena simile presente in un altro importante documentario giapponese, Ode to Mount Hayachine (Haneda Sumiko, 1982).
Dryads in a Snow Valley non è perfetto, soffre visivamente dell’uso del digitale, utile per i documentaristi in quanto permette di catturare un’ampia e quasi infinita serie di fatti, ma non ancora maturo, fatta eccezione per alcuni casi, nel modo in cui viene impiegato per creare immagini, resta sempre cioè il senso che visivamente si poteva fare di più. Interessanti invece sono le parti in cui il lavoro inserisce qualcosa di diverso all’interno della narrazione, come le brevi esibizioni di kagura o l’incipit di cui si scriveva sopra, e soprattutto una lunga scena dove la coppia fa colazione e dove non accade praticamente niente, ma che cattura molto bene il flusso del tempo e la vita e il rapporto dei due coniugi.
Titolo originale: 風の波紋 (Kaze no hamon); regia: Kobayashi Shigeru; montaggio: Hata Takeshi; fotografia: Matsune Hirotaka; sonoro: Kawakami Takuya; interpreti: Kogure Shigeo, Amano Towa, Matsumoto Hidetoshi, Amano Tokiko, Kurashige Nobu; produzione: Nagakura Norio, Yatabe Yoshihiko; durata: 99′; prima proiezione in Giappone: ottobre 2015 (Yamagata international Documentary Film Festival), 19 marzo 2016 resto del paese.