THE END OF THE PALE HOUR (Akegata no wakamonotachi, MATSUMOTO Hana, 2022)
Contemporanea
di Marcella Leonardi
Talvolta, guardando le produzioni giapponesi contemporanee, si ha l’impressione che i “film di studenti” non siano diversi da quelli del passato per lo stato d’animo che esprimono: un senso di ineluttabilità, di repressione e di futuro segnato in un corporativismo arido e arrivista; un contesto sociale già gravato, pur nella giovinezza, da un apparato di formalità, rituali, apparenze e rigidi codici di comportamento.
Alla ricerca di una fuga da una realtà tanto schiacciante, il protagonista di The end of the pale hour, di cui non conosceremo mai il nome, si innamora di una ragazza inseguendo «l’appagamento nell’amorosa quiete delle tue braccia», secondo le parole di Roland Barthes (Frammenti di un discorso amoroso). Ed è significativo che il film della Matsumoto ometta i nomi dei due giovani: sempre nell’ottica barthesiana, alla precisione del desiderio corrisponde uno sfocamento del nome.
Un ragazzo si innamora di una ragazza incontrata ad una festa per laureandi. Il rapporto con lei lo completa e soddisfa ogni sua aspirazione; ma quando la ragazza lo lascia, sarà costretto a riesaminare la realtà e le disillusioni della vita.
Nella festa studentesca che apre il film, il protagonista appare frastornato, incapace di aderire alla falsa convivialità del gruppo di giovani “promettenti”. Pensoso, introverso, passa il tempo a osservare la vacuità dei suoi coetanei, finchè lo sguardo non si posa su di lei, in cui si specchia e si riconosce. La regista compone il suo incipit guidata da un vivo senso dell’immagine: pur muovendosi tra cliché romantici, ci conquista con visioni struggenti di una Tokyo notturna, tra stazioni in campo lungo, strade vuote, luci al neon e colori intensi che imprimono una vaghezza nostalgica al paesaggio urbano. Le soggettive del ragazzo romanticizzano immediatamente il corpo e i gesti di lei: il suo occhio voyeuristico indugia sulla grazia del volto femminile, ma allo stesso tempo tradisce la parzialità della prospettiva.
Da questo momento, la regia della Matsumoto si sviluppa proprio sul filo dell’unidirezionalità dello sguardo, che diviene l’assunto delle varie fasi del romance e conferisce singolarità al racconto. Per certi aspetti sembra di trovarsi di fronte alla versione giapponese dell’americano 500 Days of summer (Marc Webb, 2009), storia impietosa di una disillusione sentimentale che però, sottilmente, ci rivelava la soggettività del protagonista, la cui fissazione amorosa gli impediva di decifrare la realtà.
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In The end of the pale hour abbiamo una simile situazione: il giovane “vede” l’oggetto amoroso o semplicemente lo immagina e plasma secondo il volere egoista del suo desiderio?
La ragazza è un’apparenza opaca, una superficie che il protagonista non esplora in profondità, accontentandosi delle promesse del suo corpo e della luce del suo sorriso. I primissimi piani sul volto di lei sono schermi su cui proiettare sogni e desideri; mentre i raggi della luna, le lattine di birra consumate assieme su una panchina e la luce calda dei lampioni gli impediscono di distinguere i contorni del reale. Spesso lei osserva l’orologio, esprime inquietudini, appare irresoluta: ma lui è troppo assorto nel proprio lirismo per ascoltarla o osservare ogni sfumatura comunicativa non-verbale.
La regista inquadra spesso lo schermo del cellulare su cui il giovane legge i messaggi della ragazza: anche in questo caso il rettangolo della chat assume il valore di spazio del desiderio, dove ogni parola si colora di emozione e aspettative illusorie.
The end of the pale hour è un film d’amore in cui l’amore ci elude: non è tra i tavoli del diner in cui la coppia trascorre una serata, né nelle strade percorse insieme, o nelle poltrone del teatro: ogni scena, tassello del rapporto, rivela un disagio, un’incapacità comunicativa. Lei sbadiglia, si annoia; le parole pronunciate non riescono a incontrarsi, cadono nel vuoto, sui marciapiedi che la Matsumoto filma così bene, con lunghi carrelli in avanti (1). La coppia è afasica, ma gli oggetti, le insegne dei bar, le luci che riverberano tra i vicoli conducono una conversazione separata; la poesia spaziale non accoglie i passi distratti dei due amanti.
L’entrata in scena di un collega di lui, conosciuto tra gli aridi cubicoli aziendali, sfalda ancora di più il labile legame della coppia, mentre la regista si diverte a inserire una nostalgia di Nouvelle vague tra corse alla Jules e Jim (2) e ambigue situazioni a tre, in cui i sentimenti di lei appaiono ancor più indefiniti.
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La chiave del film ci viene offerta da una scena di sesso particolarmente sgradevole: in una camera d’albergo, durante una breve vacanza, il protagonista possiede la ragazza con forza e brutalità inaspettate, ignorando il suo disagio e i suoi sospiri soffocati. Quasi schiacciata dal corpo del giovane, la ragazza non gode e sembra chiedere una tregua, ma lui persiste. La Matsumoto blocca l’immagine in orizzontale contro la spalliera del letto, mentre le lenzuola paiono impedire i movimenti: questi minuti di possesso claustrofobico segnano la frattura definitiva della coppia. Dopo la vacanza, la ragazza sparisce, lasciando il protagonista nella disperazione e nel vuoto.
Con un flashback, la Matsumoto riavvolge il nastro del tempo e ci riporta al primo incontro: stessa serata, stessa panchina. Ma stavolta riusciamo ad ascoltare i dialoghi nella loro interezza e scopriamo che il giovane, intenzionalmente, aveva ignorato una parte importante della vita e della realtà della ragazza. Inizia un percorso a ritroso, il ritorno sui passi di un amore immaginato (3), vissuto in un egoistico individualismo; e la presa di coscienza del protagonista ci ricorda ancora le riflessioni di Barthes in Frammenti di un discorso amoroso: «io desidero il mio desiderio, e l’essere amato non è più che il suo accessorio. Mi esalto al pensiero di una così nobile causa, che non tiene nel minimo conto la persona che ho preso a pretesto (…): io sacrifico l’immagine all’Immaginario. E se un giorno dovessi decidermi di rinunciare all’altro, il violento lutto che mi colpirebbe sarebbe il lutto dell’Immaginario».
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Titolo originale: 明け方の若者たち; Regia: Matsumoto Hana; soggetto: dal romanzo omonimo di Katsuse Masahiko; fotografia: Tsukinaga Yuta; interpreti: Kitamura Takumi (il ragazzo), Kuroshima Yuina (la ragazza); produzione: Nakamura Yuko; prima uscita in Giappone: 31 dicembre 2021; durata: 116′