A MAN (Aru otoko, ISHIKAWA Kei, 2022)
SONATINE CONTEMPORANEA
di Matteo Boscarol
Il lungometraggio si apre e si chiude con un’inquadratura del dipinto La riproduzione vietata di Magritte, quasi a voler simboleggiare la ricerca senza fine dell’identità “vera” dei vari protagonisti della storia: Daisuke, l’impostore, ma anche l’avvocato Akira, colui che sta indagando, e la cui ricerca metterà in discussione la facciata che si è duramente costruito.
Dopo la tragica morte del suo bambino e il conseguente divorzio da suo marito, un giorno Rie incontra, nel negozio di cancelleria del piccolo paese di montagna in cui lavora, Daisuke. Il timido e taciturno uomo fa breccia nel cuore della donna, comincia a lavorare come taglialegna nella zona e i due finiscono per sposarsi. La tragedia colpisce nuovamente Rie quando Daisuke, mentre sta lavorando nel bosco, viene schiacciato da un albero e muore. Alla veglia funebre arriva il fratello di Daisuke e quando si inginocchia per pregare davanti alla foto, rivela con grande sorpresa di tutti che quello nella foto non è suo fratello. Superato lo shock, Rie chiede all’avvocato Akira di indagare sull’identità di quello che per un breve ma intenso e felice periodo è stato suo marito.
Il lungometraggio che è stato presentato al festival di Venezia, nella sezione Orizzonti, lo scorso settembre, è tratto da un romanzo di successo scritto nel 2018 da Hirano Keiichirō, ed è costituito da due atti abbastanza nettamente divisi. Nel primo viene raccontata la tragedia della perdita del figlio, del divorzio di Rie ed il suo incontro con Daisuke, mentre nel secondo, seguiamo l’avvocato Akira alla ricerca dell’identità dell’uomo che si spacciava per Daisuke.
La prova attoriale di Andō Sakura e l’abilità di Ishikawa nel rendere, anche grazie al lavoro di Kondō Ryūto, uno dei maggiori direttori della fotografia attivi in Giappone al giorno d’oggi, la doppia tragedia che colpisce ripetutamente la vita di Rie, rendono questa prima parte del film quasi perfetta. Nel secondo atto, regista e collaboratori allungano forse più del dovuto la labirintica e senza dubbio avvincente ricerca della vera identità di Daisuke, una parte che comunque si regge in piedi e funziona grazie alla capacità degli interpreti. Tsumabuki Satoshi è bravo ad esprimere in maniera molto efficace le incrinature che la vita personale del suo personaggio, l’avvocato, comincia a mostrare man mano che la propria ricerca si approfondisce e la sua identità di coreano di seconda generazione viene a galla.
In un ruolo secondario ma di cristallina efficacia, Emoto Akira interpreta un criminale in prigione la cui figura funziona, nel film e nei confronti dell’avvocato, quasi come una sorta di Hannibal Lecter per Clarice. Infatti, con le sue taglienti parole nei brevi incontri, il personaggio, interpretato da Emoto, aiuta Akira nella sua ricerca della vera identità dell’uomo che si spacciava per Daisuke, ma gli dà una mano anche a (ri)prendere coscienza delle sue origini coreane (zainichi), con tutte le problematiche che questo comporta nel Giappone contemporaneo. In questo senso funziona molto bene la contrapposizione di classi messa in scena dal film, uno dei punti più interessanti, da una parte il ricco suocero che si prende gioco e disprezza i coreani di seconda o terza generazione, dall’altra coloro che, vittime delle condizioni sociali in cui sono nati e degli errori fatti in passato, cercano di rifarsi una vita, anche a costo di assumere una nuova identità.
Titolo originale: ある男 (Aru otoko); regia e montaggio: Ishikawa Kei; sceneggiatura: Mukai Sōsuke; soggetto: da un romanzo di Hirano Keiichirō; musiche: Cicada; fotografia: Kondō Ryūto; luci: Sō Kenjirō; direzione artistica: Wagatsuma Hiroyuki; produttore esecutivo: Yoshida Shigeaki; interpreti e personaggi: Tsumabuki Satoshi (Kido Akira), Andō Sakura (Taniguchi Rie), Kubota Masataka (Taniguchi Daisuke), Emoto Akira (Komiura Norio), Kawai Yūmi (Akane); produzione: Shōchiku; distribuzione: Shōchiku; durata: 121’; prima uscita in Giappone: 18 novembre 2022.