THE BURDEN OF THE PAST (Kako ou mono, Funahashi Atsushi, 2023)
Speciale Osaka Asian Film Festival 10-19 marzo 2023
di Matteo Boscarol
Uno dei film più interessanti presentati all’ultima edizione dell’Osaka Asian Film Festival, The Burden of the Past affronta un tema delicato e poco toccato dai media e più in generale dalla società giapponese, la vita degli ex detenuti una volta fuori dal carcere, con un approccio meta-documentaristico e carico di tensione, che non offre facili giudizi o banali soluzioni.
Change è una rivista onlus che aiuta gli ex detenuti a reintegrarsi nella società. Il film si apre con l’arrivo nel suo ufficio di Aya, una ex tossicodipendente, Yoshio, uomo che ha scontato alcuni anni in prigione per atti osceni in luogo pubblico, e Anri, un piromane. L’organizzazione li aiuta a trovare un posto di lavoro attraverso dei colloqui con varie compagnie. Alcuni di questi vengono impiegati in aziende di pulizie, altri, fra cui Taku, condannato per omicidio colposo in un incidente stradale, in un piccolo ristorante gestito da Yura, a sua volta un ex detenuto.
Funahashi continua, come da lui stesso dichiarato nelle interviste post proiezione, il suo personale percorso attraverso il quale cerca di gettare luce sulla parte oscura della società giapponese contemporanea, quello che di solito viene nascosto o dimenticato dai media tradizionali. Se in un suo precedente film, Company Retreat (2009), il tema era quello dell’abuso di potere e delle molestie sessuali sul posto di lavoro, qui la ricerca del regista si focalizza sulla vita degli ex detenuti una volta fuori dalla prigione.
The Burden of the Past nasce con una serie di incontri ed interviste fatte da Funahashi con persone che hanno provato a reinserirsi nella società grazie alla rivista Change, il Giappone, ci dice il film, ha un tasso di recidiva di circa il 50%, la metà di chi esce di prigione cioè, ritorna a commettere reati. Sulla base di queste conversazioni, il regista ha creato, con il fondamentale contributo degli attori, i vari personaggi, ognuno degli interpreti ha poi di fatto creato il suo copione o improvvisato. Un lavoro che, secondo gli stessi attori, ha scavato in profondità all’interno di loro stessi, in quanto ognuno ha personalmente scelto il tipo di ex-criminale da portare sullo schermo, in questo senso è da notare che quasi tutti hanno mantenuto il loro nome nel personaggio creato, cambiando solo il cognome.
La prima parte del lavoro presenta i vari personaggi e le difficoltà che ognuno di essi ha nel fidarsi dell’ambiente circostante e delle persone che li circonda. Funahashi, che qui è anche direttore della fotografia e montatore, assieme ai suoi attori, crea un’atmosfera di perenne tensione dove da un momento all’altro ci si aspetta che uno dei protagonisti “esploda”, si grida molto e gli sguardi di tutti i protagonisti sono carichi di diffidenza e aggressività. In questo senso il personaggio principale, e quello a cui viene dedicato più spazio, è Taku, ragazzo che ha ucciso uno studente di scuole superiori in un incidente stradale e che ritorna spesso, quasi sognante, nell’incrocio dove è accaduta la tragedia. Il senso di sfiducia e accerchiamento di cui ognuno degli ex detenuti fa esperienza nella società trova forse il suo apice quando Aya, impiegata in un’azienda di pulizie, anche perchè manca manodopera a causa della pandemia, si confessa con un giovane incontrato per caso durante il suo turno. Se all’inizio lui la ascolta, forse anche con un non tanto segreto desiderio sessuale verso di lei, quando gli rivela di essere una ex tossicodipendente e gli descrive la sensazione che provava dopo aver assunto metanfetamine, il ragazzo la deride chiamandola “feccia della società” e augurandole di morire.
Se all’inizio i tentativi di aiutare gli ex detenuti sembrano funzionare, si tratta di trovare lavoro ma anche di terapie di gruppo e di una piece teatrale da portare in scena come coronamento di questo percorso di reintegrazione, man mano che il lungometraggio procede tutto sembra sfaldarsi. Non solo alcuni ricadono nei crimini per cui sono stati condannati, ma i vari membri della rivista Change perdono lo spirito e la volontà di continuare. Fra questi ricordiamo almeno Takashi, il direttore della rivista, da lodare per i suoi sforzi, ma troppo poco pratico e troppo spesso idealista, e soprattutto Jun, che instaura con Taku un rapporto molto forte e che costituisce il fulcro attorno al quale ruota la seconda parte del film.
Lo stile documentaristico, camera a mano, spesso traballante, trova compimento e si spinge ancora più in là nel finale, quando gli ex-detenuti mettono in scena il loro psicodramma davanti ad un pubblico formato da curiosi, da chi abita nel vicinato e dai genitori del ragazzo ucciso da Taku. The Burden of the Past diventa qui qualcosa di diverso e di più potente, grazie al lavoro fatto dagli attori, sia quelli che interpretano gli ex-detenuti, sia quelli nella parte dei membri della rivista e del pubblico dello spettacolo teatrale. Il film si eleva al di là di quello che era stato fino ad ora, sfociando in una sorta di meta-piece teatrale che colpisce tanto per la messa in scena (potrebbe ricordare alcuni esperimenti di Hamaguchi Ryūsuke, e a tratti ci si dimentica che sia un lavoro di finzione), tanto per le conclusioni che problematizzano tutta la faccenda, non offrendo nessuna soluzione o presa di posizione che sia consolatoria.
Titolo originale: 過去負う者 (Kako ou mono); regia, fotografia, sceneggiatura, suono e montaggio: Funahashi Atsushi; interpreti e personaggi: Tsuji Taku (Tanaka Taku), Kubodera Jun (Fujimura Jun), Kina Kiriko (Mori Aya), Miyatani (Nagata Takashi), Hirai Saki (Ichikawa Saki); produzione: Big River Films; distribuzione: ARTicle Films; durata: 125’; uscita in Giappone: 12 marzo 2023 (prima mondiale al 18° Osaka Asian Film Festival).