SWALLOWTAIL BUTTERFLY (SUWARŌTEIRU, IWAI SHUNJI, 1996)
Speciale Far East Film Festival 21-29 aprile 2023
di Davide Morello
Il secondo lungometraggio di Iwai Shunji, Swallowtail Butterfly, narra della comunità di cinesi immigrati in Giappone, gli Yentowns, attraverso una prospettiva che ne evidenzia la solidarietà, i legami personali e non nega la possibilità del riscatto sociale, pur evidenziandone le contraddizioni.
Una donna è morta in una condizione lavorativa illegale e di fronte alle forze dell’ordine, la comunità, come la stessa figlia, non la riconosce. Inizia così la vicenda della protagonista sedicenne, senza ancora un nome, divenuta orfana e senza una prospettiva di futuro nella comunità Yentown, di immigrati cinesi che si arricchiscono in un contesto di diffusa illegalità, dove regnano malviventi, droga e prostituzione. Sarà proprio una prostituta, Glico, ad inserire la giovane in una particolare cerchia di Yentowns che vive di espedienti e a chiamarla Ageha, che in giapponese significa farfalla a coda di rondine. È la farfalla che Glico ha tatuata fra i seni ed è quella che anche Ageha si farà tatuare sul petto, che funziona, tra l’altro, come una carta di identità per persone anonime come loro. Grazie a Fei Hong, un immigrato di Shanghai, Glico riuscirà ad avere successo come cantante e Ageha accumulerà del denaro. Parallelamente, un temuto gangster, il Falsario, è alla ricerca di una musicassetta di cui la protagonista è venuta in possesso.
Un fitto intreccio di destini che si incrociano o si separano e di altri che procedono paralleli, a partire da quello della protagonista senza identità che viene abbandonata due volte, anche da Glico, prima che torni e, paradossalmente, la salvi dal giro della prostituzione per adottarla come una sorella. La stessa cantante, ex prostituta, nella sua ascesa sociale, si allontanerà da Ageha e Fei Hong, arrestato proprio durante un suo concerto. È il contesto sociale, infatti, il punto di partenza del film in cui ci proietta il prologo, quando lo Yen era una moneta dominante e i cinesi immigravano in Giappone. Ma è più una società multietnica quella ritratta, oltre ad essere una società razzista, visto il trattamento riservato a Fei Hong, e non solo, da parte dei poliziotti. Un’ambientazione industriale, di periferia e bidonvilles in cui si vive di scarti e rottami della società, materiali e umani, come gli Yentowns della via dell’oppio dove la macchina da presa avanza fra volti smarriti e corpi inermi in una sorta di discesa agli inferi. La macchina a mano, a tratti concitata, la luce naturale, contrastata e spesso dinamica, l’ambientazione, rimandano ad un approccio realistico. Ma sono differenti i registri linguistici e i toni narrativi che convivono all’interno del film, come fortemente presente è la soggettività della protagonista, isolata con empatia sin dalle prime inquadrature. Infatti, per un breve attimo, la sua voce si fa narrante facendo assumere al racconto un carattere memorialistico. Sul piano enunciativo, la soggettività è data anche attraverso lo sguardo della farfalla con cui si identifica nell’attimo in cui si fa tatuare, quando riaffiorano i ricordi della sua traumatica infanzia. Proprio questa scena rivela il carattere metaforico della farfalla pizzicata nella finestra, quindi, la cifra simbolica e introspettiva del racconto. Spiccatamente soggettiva è quella percezione acustica e visiva distorta in cui, dopo l’assunzione della droga trovata dagli amici, intravede per la prima volta il dottore tatuatore.
Un uso singolare della soggettiva, che ne fa una particolare marca stilistica del film, si trova nel momento in cui il boss della yakuza viene decapitato per ordine del Falsario e la macchina da presa simula lo sguardo della testa che cade. Infatti, il film è anche un noir, un gangster ad alta tensione, fra inseguimenti e suspense con la sua connotazione umoristica pulp, come quando Fei Hong si libera con un complice dal sequestro della gang in una rapida successione di spari ravvicinati, in auto, con tanto di gola recisa e fiotti di sangue. In una tale contaminazione di generi non può mancare l’ironia che trova spazio in alcune scazzottate, come quando il malvivente, molestatore di Ageha, vola dalla finestra. Ma in generale certi personaggi sono particolarmente stravaganti come il manager giapponese di origine americana o i musicisti che si esibiscono nei provini. Ampio spazio è dedicato all’esibizione di Glico e del suo gruppo, facendo intraprendere al film, per un attimo, la strada del film musicale, la cui colonna sonora ha riscosso un certo successo.
Titolo originale: スワロウテイル (Suwarōteiru); regia e sceneggiatura: Iwai Shunji; fotografia: Shinoda Noboru; musica: Kobayashi Takeshi; interpreti e personaggi: Mikami Hiroshi (Fei Hong), Chara (Glico), Itō Ayumi (Ageha), Eguchi Yōsuke (Ryou Ryanki), Andy Hui Chi-on (Maofuu), Watabe Atsuro (Ran), Shiek Mahmud-Bey (Arrow); produzione: Kawai Shin’ya ; durata: 148′; prima uscita in Giappone: 14 settembre 1996