UNA PAGINA DI FOLLIA (Kurutta ippēji, KINUGASA Teinosuke, 1926)
SPECIALE KINUGASA TEINOSUKE
Retrospettiva Kinugasa – Cinema Ritrovato Festival – Bologna 24 giugno – 2 luglio 2023
di Valerio Costanzia
Per molto decenni, Una pagina di follia è stato ritenuto perduto fino a quando, nel 1971, la pellicola viene ritrovata dal regista stesso che la restaura rimettendola così nuovamente a disposizione per una re-visione che era mancata per circa mezzo secolo, seppur in una versione tagliata di circa mezz’ora. Il film è privo di didascalie perché, come è noto, nell’epoca del cinema muto giapponese durante la proiezione era presente in sala un oratore/attore – il benshi – che aveva la funzione di introdurre e narrare il film interpretando le voci dei vari personaggi.
Una notte da tregenda ci introduce all’interno di un ospedale psichiatrico che ha le fattezze di un carcere: in una cella vediamo una danzatrice che si esibisce, come fosse posseduta, in una danza parossistica mentre una sfera ruota alla stregua di un oggetto ipnotico. Nell’ospedale è rinchiusa una donna che anni prima aveva tentato di affogarsi con il proprio figlio, sopravvivendo solo lei. A questo drammatico precedente si aggiunge il fatto che l’inserviente dell’ospedale è il marito stesso, un ex marinaio coinvolto nel tragico episodio della morte del figlio, che adesso si trova a scontare questa colpa tormentato da un’angoscia che gli provoca visioni e terribili allucinazioni. L’inserviente ha una figlia adulta che viene a trovarlo all’ospedale comunicandogli la sua intenzione di sposarsi, decisione che non fa altro che aumentare la sua prostrazione. Egli allora decide di liberare la moglie, scontrandosi così con il resto del personale dell’ospedale e con il medico curante. Da questo momento in avanti il confine tra realtà e immaginazione si fa sempre più labile, l’inserviente è preda di continue allucinazioni, tra cui il matrimonio della figlia con un degente dell’ospedale. Il film termina con la distribuzione, da parte dell’inserviente, di una serie di maschere sorridenti che sembrano placare la sua angoscia.
Una pagina di follia è il trentacinquesimo film di Kinugasa che nel corso della sua carriera arriverà a realizzare oltre 100 film. Si tratta di una produzione indipendente realizzata per la Kinugasa eiga renmei, una piccola casa di produzione fondata dallo stesso regista. Oltre allo stesso Kinugasa, tra gli autori della sceneggiatura spicca lo scrittore Kawabata Yasunari – futuro premio Nobel per la letteratura nel 1968 – autore del soggetto e fondatore del movimento di avanguardia Shinkankakuha (Movimento neopercezionista). Nel 2001 il film è stato proiettato al festival di Pordenone, Le giornate del cinema muto, con un accompagnamento musicale del musicista Mauro Teho Teardo.
Dalla scheda leggiamo che il film “venne girato nello studio Shimokama della Shochiku Film Production, approfittando di un momento in cui lo studio non era attivo. Poiché sia i mezzi tecnici che le finanze a disposizione del gruppo di produzione del film erano decisamente limitati, si sopperì a questi svantaggi con la creatività: i set vennero dipinti d’argento per aumentare la luce e questo diede alle immagini una luminosità misteriosa; angolazioni insolite della macchina da presa permisero di utilizzare al meglio lo spazio ristretto, offrendo allo stesso tempo punti di osservazione imprevedibili.” È naturale che per un film come Una pagina di follia il montaggio connotativo assuma un ruolo di primissimo piano: “Kinugasa disse che durante le riprese non si era reso conto che la vera creazione del film sarebbe arrivata solo durante le fasi di montaggio. Egli sviluppò un montaggio connotativo che sotto certi aspetti si avvicina a quello che stavano facendo i cineasti sovietici in quel momento.”
Una pagina di follia presenta diverse soluzioni formali che lo “apparentano” al cinema della prima avanguardia degli anni Venti:
sovrimpressioni continue a partire dalla sequenza iniziale in cui l’elemento impetuoso dell’acqua, leit motif del film, viene sovrapposto alle strutture del manicomio, soprattutto le inferriate delle celle (min. 2’);
montaggio frenetico in funzione connotativa analogica con l’accostamento di immagini che hanno l’obiettivo di produrre senso; acqua scrosciante/ruota che gira/palla che ruota (min. 2’01’’);
inquadrature con asse obliquo accentuate dalle inferriate che ne accentuano l’aspetto grafico-formale (min. 4’15’’);
inserti grafici, durante la sequenza della danzatrice, caratterizzati da segni che riproducono fulmini e saette (min. 5’01’’);
carrelli in avanti combinati con una serie repentina di sovrimpressioni che creano un effetto irreale dovuto a uno slittamento progressivo del punto di vista (min. 8’09’’);
rapidissime panoramiche a schiaffo (min. 10’11’’);
composizione del profilmico con un’attenzione particolare all’aspetto formale dell’inquadratura e ai codici luministici (min. 12’57’’);
Soluzioni formali che pongono una domanda di carattere filologico: quali sono – se vi sono – le eventuali influenze che possono aver avuto un’impronta diretta sul regista nella realizzazione del film? Come sostiene Mariann Lewinsky, storica del cinema specializzata in cinema muto giapponese e autrice del volume Eine verrückte Seite-Stummfilm und filmische Avantgarde in Japan, Chronos Zürich, 1997 (qui un’ampia intervista all’autrice in cui parla diffusamente del film ), dalla fine del 1924 in poi, i film della prima avanguardia francese, tra cui La Roue di Abel Gance e i film Marcel L’Herbier arrivarono in Giappone: “il montaggio accelerato visto in Kean [Kean ou désordre et génie, Alexander Volkoff, 1924] e naturalmente in La Roue è stato immediatamente adottato dai registi giapponesi (si veda Orochi, Futagawa Buntarō, 1925) e Kinugasa lo usa due volte all’inizio del suo film con grande effetto (per la tempesta e la danzatrice) a differenza dei film sovietici, assolutamente vietati in Giappone per motivi politici.”
Un altro film di cui parla Mariann Lewinsky è L’ultima risata di Murnau (1924) distribuito in Giappone nel gennaio (a Kyoto) e a metà aprile (Tokyo) del 1926 (il film di Kinugasa viene girato nel maggio 1926). Secondo l’autrice il film di Murnau ha esercitato l’influenza diretta più forte: “ci fu molto dibattito nelle riviste cinematografiche giapponesi su questo film e sulla sua mancanza di didascalie”. Viene esclusa invece ogni influenza da parte di un altro film molto popolare in Giappone, ovvero Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene (1919): d’altra parte, se si esclude il tema della follia, i due film non hanno praticamente niente in comune da un punto di vista stilistico e formale. Ma al di là delle influenze, l’aspetto più interessante che sottolinea la storica, e sul quale ci troviamo completamente d’accordo, è che Una pagina di follia non va considerato tout court come un film d’avanguardia interamente focalizzato sulla ricerca formale e linguistica dei codici cinematografici, ma bensì un film narrativo di finzione in cui il tema della follia viene trattato sullo schermo facendo ricorso ai mezzi propri del linguaggio cinematografico – esplorati e messi a disposizione, per così dire, dal lavoro delle avanguardie – per dare immagine alla follia, agli incubi e al parossismo espresso dai personaggi.
Titolo originale: 狂った一頁 (Kurutta ippēji); regia: Kinugasa Teinosuke; sceneggiatura: Kawabata Yasunari, Kinugasa Teinosuke, Inuzuka Minoru, Sawada Bankō da un racconto di Kawabata Yasunari; fotografia: Sugiyama Kōhei; scenografia: Ozaki Chiyo; interpreti: Inoue Masuo (inserviente), Iijima Ayako (figlia inserviente), Nakagawa Yoshie (moglie inserviente), Nemoto Hiroshi (giovane), Seki Misao (dottore), Takase Minoru (malato di mente A), Takamatsu Kyōsuke (malato di mente B), Minami Eiko (danzatrice), Tsuboi Tetsu (malato di mente C); produzione: Kinugasa Productions, National Film Art, Shin Kankaku-ha Eiga Renmei Productions; durata: 71’; uscita in Giappone: 10 luglio 1926;