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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SÉANCE (Kōrei, KUROSAWA Kiyoshi, 2000)

SPECIALE YAKUSHO KŌJI  

Miglior attore Cannes 2023

di Marcella Leonardi

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Séance viene commissionato a Kurosawa Kiyoshi dalla rete televisiva Kansai: si trattava di adattare in forma di tv drama il romanzo di Mark McShane “Séance on a Wet Afternoon”. Il regista è immediatamente attratto dal soggetto: un uomo e una donna “normali” si trasformano in assassini mentre la loro vita deraglia tra le spire di un paranormale che tutto avvolge e trasforma. Il regista lo gira su pellicola, senza cambiare il suo stile: “L’unica cosa era che non potevo usare scene scioccanti. Doveva essere più quieto. Non ci sono molte persone che muoiono, perché non è permesso [in televisione]”.

Junko, una casalinga con poteri medianici, e Kōji, tecnico audio per un’azienda che produce effetti sonori, conducono un’esistenza monotona e rassegnata. Un giorno, una bambina sfuggita a un rapimento si nasconde dentro un baule per l’apparecchiatura di Kōji. La coppia scopre il corpo ancora vivo, ma Junko decide di non informare la polizia e di trattenere la piccola per trarre vantaggio dalla situazione, fingendo di poterla rintracciare grazie al proprio dono di sensitiva. La situazione precipita quando Kōji uccide accidentalmente la bambina.

Sin dalla sequenza iniziale, che vede un professore e uno studente di psicologia dibattere sulla natura dei fantasmi, Kurosawa allestisce un microcosmo agghiacciante, stretto in un formato 4:3 nel quale i personaggi entrano ed escono, rendendo percepibile l’ambiguità del vuoto (1). Le geometrie degli spazi non riescono a “razionalizzare” la materia della discussione, che concerne gli spiriti e la loro rivelazione (attraverso interferenze sonore o una materializzazione corporea) e la presenza di un doppio (doppelgänger) quale presagio di morte.

vuoto_pieno1 – Ambiguità dei vuoti

Stanze semplici e familiari, simmetricamente inquadrate, sono gli ambienti che Kurosawa colora d’angoscia: ciò che interessa il regista è innervare di inquietudini la normalità, lasciar emergere il perturbante che permea l’esperienza quotidiana. Lo stesso concetto di doppelgänger, esplicitato nel breve preludio al film – la scena si può considerare come un’introduzione, in senso iniziatico, rivolta allo spettatore – è alla base di tutto il cinema di Kurosawa, in cui il visibile non è che il limite in cui ci ostiniamo a costringere la realtà; ma il regista apre crepe sulla superficie dell’immagine, moltiplica le percezioni visive tramite specchi, profondità di campo, porte socchiuse; inquadra geometrie perfette per irradiarle di luce anomala, ombre e chiaroscuri tra cui si può intravedere una presenza fuggevole.

Il cinema di Kurosawa è esso stesso doppio, riflettente, binario: una seconda dimensione poggia, lieve come un respiro, sulla banale evidenza delle cose. La luce, in particolare, diviene manifestazione del sovrannaturale e interagisce con i personaggi: severa, li illumina di taglio per punirli con un’intensità che ferisce; oppure esprime la sua angoscia tramite lampi rabbiosi, che illuminano violenti gli spazi, per poi scolorare nella tristezza di un blu (2).

sea_12- Il lampo

Sono rancorosi, i fantasmi di Kurosawa, ma più di ogni altra cosa sono tristi. Junko li intravede, seduti accanto agli umani: la sofferenza ne ha offuscato i lineamenti, i corpi curvi esprimono desiderio e mancanza, le mani sono tese verso un contatto. Gli spiriti hanno assunto forma corporea, ma il loro viso sembra dissolto dalle lacrime.
C’è una gentilezza nel dolore dei morti che contrasta con la mostruosità morale dei vivi, anch’essi sede di una doppiezza che li rende aberranti e lascivi. Con la sua straordinaria performance, Yakusho Kōji esprime perfettamente l’opacità del suo essere, diviso tra paura ed egoismo, preda dell’impulsività più brutale, ricettacolo di pulsioni inconsce illeggibili nel suo sguardo assente. A proposito della sua interpretazione, Kurosawa dichiarò: “È un grande attore, può interpretare qualsiasi tipo di personaggio. Può essere una persona normale, ma può anche diventare un mostro, qualcuno di cui non riesci a decifrare il pensiero.”

L’incontro di Kōji con il suo doppelgänger (3), che gli rivolge uno sguardo di riprovazione, è sottolineato da una colonna sonora folk e ipnotica, che accentua la dimensione rituale del confronto tra morte e vita (come già accadeva in Charisma) e vivifica la scena di una strana allegria.

doppio3 – Il doppio

La natura appare partecipe della sofferenza dei morti e presta loro voce, in forma di vento sibilante tra gli alberi, fruscii, segnali sonori fuori norma. Kōji, che lavora come tecnico del suono, percepisce le anomalie e tenta inutilmente di ignorarle: ma la sua vita, come quella di Junko, è segnata da un aldilà che vuole essere vendicato.
Kurosawa omaggia apertamente il cinema classico: gli effetti sono tanto semplici quanto suggestivi (come bianche tende drammaticamente agitate dal vento) e gli spettri si annidano ovunque, negli angoli, nelle zone d’ombra, tra abiti ammucchiati. Soprattutto, Séance condivide con gli archetipi dell’horror giapponese (ad esempio lo Yotsuya Kaidan di Misumi Kenji, 1959) i tratti dolenti dei fantasmi, la loro muta malinconia (4).

mani4 – Le mani delicate dei fantasmi: Yotsuya Kaidan e Séance

La personalità di Junko, pur nell’apparente remissività, possiede una disumana freddezza calcolatrice e si illude di poter estendere il proprio controllo al ribollente mondo dei morti. Non ci stupisce, allora, che proprio i fantasmi ci appaiano più emotivi e pietosi dei viventi, e si manifestino con delicatezza, attraverso gesti che esprimono una fondamentale innocenza. C’è una purezza che accomuna i fantasmi di Kurosawa a quelli dello scrittore Jorge Luis Borges, pervasi da stupore, increduli della crudeltà riservata loro dagli umani. Della bambina, vittima dell’irresponsabilità della coppia, vediamo le mani infantili sugli abiti di Kōji, ancora sporche del fango della sua frettolosa sepoltura (5). Un’altra scena ce la mostra come una bambola di pezza (6), su cui Kōji si accanisce con un bastone: e questo voler abbattere ciò che è già morto, ciò di cui non rimane che un simulacro, crea un cortocircuito emotivo difficile da dimenticare. Forse i fantasmi non sono altro che bambini, come già notava Henry James.

fango
5 – Il fango

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6 – Come una bambola

Titolo originale: 降霊, Kōrei; regia: Kurosawa Kiyoshi; sceneggiatura: Kurosawa Kiyoshi, Onishi Tetsuya, dal romanzo di Mark McShane; fotografia: Shibanushi Takahide; montaggio: Kikuchi  Jun’ichi; interpreti e personaggi: Yakusho Kōji (Sato Kōji); Fubuki Jun (Sato Junko); Kusanagi Tsuyoshi (Hakayawa); produzione: Kansai Telecasting; prima uscita in Giappone: 12 maggio 2001; durata: 97; riconoscimenti: Fantasia Film Festival 2001 Winner Critic’s Prize a Kurosawa Kiyoshi; Cannes 2001, Premio FIPRESCI a Kurosawa Kiyoshi.

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