IL SAPORE DEL RISO AL TÈ VERDE (Ochazuke no aji, OZU Yasujirō, 1952)
SPECIALE OZU YASUJIRŌ
SONATINE CLASSICS
di Marcella Leonardi
Ozu scrive la prima versione della sceneggiatura de Il sapore del riso al tè verde nel 1939, durante la guerra, assieme a Ikeda Tadao. Proprio in quell’anno lo Stato intensifica il controllo sull’industria cinematografica mediante la “Legge sul cinema”, che sancisce il controllo su ogni film a partire dalla creazione dello script: il testo di Ozu e Ikeda viene rigettato dalla censura, irritata dalla focalizzazione su personaggi benestanti e capricciosi. Il “riso al tè verde” del titolo era un piatto troppo anticonformista e semplice, quindi poco dignitoso per celebrare l’intensa scena finale, che nella prima versione preludeva alla partenza del protagonista per il fronte. Il progetto tornerà alla luce, con le necessarie modifiche e la collaborazione di Noda, solo dodici anni dopo.
Taeko, una moglie capricciosa dell’alta società di Tokyo, è annoiata dal suo provinciale marito Mokichi, un dirigente d’azienda tranquillo e affidabile cresciuto in campagna. Dopo molte bugie e una temporanea “fuga”, Taeko imparerà ad apprezzare la semplicità e la filosofia concreta di Mokichi.
A proposito del film, nel 1973 il critico del New York Times, Vincent Camby, dichiarò: “non ci troviamo di fronte a un grande Ozu”. Affermazione risibile: Il sapore del riso al tè verde, progetto molto caro a Ozu, è un film di rara bellezza e stupefacente visione del mondo. Un film di donne – impossibile non pensare ai women’s film di George Cukor – in cui Ozu studia l’animo femminile con una sensibilità acuta, moderna e di grande comprensione. Il personaggio della viziata Taeko è circondato da un microcosmo femminile (di cui fanno parte l’amica Aya e la nipote Setsuko) cui Ozu dedica sequenze importanti, in cui i cliché della passività e timidezza femminili lasciano posto a personalità indipendenti, complesse, contraddittorie (capaci anche di irragionevolezza e immaturità); e che scopriamo fragili dietro un’apparente autonomia e risolutezza (si pensi ad Aya, che impallidisce di fronte al tradimento del marito).
All’intensità dei caratteri e delle emozioni rappresentati corrisponde, da parte di Ozu, la necessità della massima ricercatezza formale, volta ad esprimere visivamente la misteriosa essenza delle figure femminili (fig 1). Vestite di splendidi kimono dai disegni astratti, le donne si muovono in interni trasfigurati dal riflesso della luce sull’acqua. Al rigore geometrico della scenografia e alla rigida simmetria compositiva fa eco la loro vivace presenza, fremente ed evanescente come onde di luce. Le donne di Ozu bevono sake, si ubriacano, mentono pur di sfuggire alla deludente realtà quotidiana: prendono in giro i propri mariti, o sfuggono, come Setsuko, al destino di un matrimonio combinato. Sono personaggi che vivono sulla propria pelle le contraddizioni del tempo, tra abiti tradizionali e tailleur occidentali, tra desiderio di libertà e obblighi sociali.
(fig. 1)
Questa dicotomia tra tradizione e nuove istanze è particolarmente viva nel rapporto d’amicizia tra Taeko e Aya: due personalità opposte e speculari che però spesso trascolorano l’una nell’altra. Taeko non lavora, è benestante e viziata; Aya è una donna d’affari, fuma, legge il quotidiano, siede in un ufficio e indossa un tailleur elegante. Ma nessuna delle due è tradizionalista o moderna come l’aspetto e certe dichiarazioni parrebbero far credere; sono entrambe tremule e in trasformazione. Taeko e Aya riflettono lo spirito di una società in movimento, in cui traspare, ancora nitida, la velatura del passato. In una bellissima scena di dialogo, Ozu ci rende visibile l’affinità tra le due amiche: il campo-controcampo mostra i loro corpi nella stessa posizione leggermente inclinata; gli sguardi convergono in un punto comune, la tensione spirituale è verso un orizzonte condiviso. Segmentata e composita, ma altrettanto luminosa e senza peso, questa scena traduce una conversazione intima e non verbale: la stanza si accende di vita, l’intesa è tangibile, i movimenti di entrambe – giocose, affiatate, l’una di fronte all’altra in tacchi sinuosi o leggeri sandali tradizionali – ridisegna lo spazio (fig 2). E sembra di sentire il personaggio di L’homme qui aimait les femmes (François Truffaut, 1977) mentre dice: “le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia.”
(fig. 2 )
Ma c’è anche uno sguardo alla complessità del matrimonio che Ozu affronta con una grazia a noi occidentali del tutto sconosciuta. In una scena bellissima, moglie e marito si riconciliano durante una cena notturna. Taeko, che ha sempre disprezzato le sue abitudini frugali, si riavvicina a lui con sentimento rinnovato; e si ha l’impressione di avere accesso ai sentimenti più intimi e preziosi. Nei gesti imbarazzati tra i due, in questo condividere un pasto modesto – fatto di riso al tè verde – c’è il senso di un amore che sboccia con l’umiltà di un fiore. Commovente il gesto di Mokichi, che solleva la manica del kimono di Taeko per non farla bagnare: pochi secondi bastano a Ozu per rappresentare cosa sia la cura per l’altro (fig.3).
(fig.3)
Anche stilisticamente ci troviamo di fronte a immagini che fioriscono e si trasformano, lasciandoci la sensazione di una bellezza delicata, dai petali magnifici e caduchi nel processo di eterno rinnovamento della vita. La casa della coppia è introdotta da carrellate indietro, lente e metafisiche: l’accesso a uno spazio che è anche sentimentale. La composizione dell’inquadratura è sempre stratificata, i personaggi si dispongono in avampiano e sullo sfondo, riempiendo l’immagine di vita in movimento. La città di Tokyo appare animata e brulicante: Taeko e Setsuko la attraversano in auto e il parabrezza funge da “schermo” sul mondo. C’è una condizione di eterno spostamento – in automobile, in aereo, in treno – e il viaggio di Taeko in treno è tra le cose più belle mai realizzate riguardanti l’osservazione dell’anima femminile (fig.4). La silenziosa Taeko pensa; il rumore del convoglio sulle rotaie è assordante, e tutto intorno a lei muta e fugge. Un fiore è posato sul suo kimono, e un fiore adorna la carrozza. La mdp di Ozu entra ed esce dal convoglio, poi si sofferma sul viso di lei. Nessuna parola: ma nell’anima di Taeko sappiamo che è la rivoluzione; la vita corre, così come i suoi sentimenti in tumulto.
(fig.4)
Titolo originale:お茶漬けの味 Ochazuke no aji; regia: Ozu Yasujirō; sceneggiatura: Ozu Yasujirō e Noda Kōgo; fotografia: Atsuta Yūharu; musica: Saitō Ichirō; interpreti: Kogure Michiyo (Taeko); Saburi Shin (Mochiki); Awashima Chikage (Aya); Tsushima Keiko (Setsuko); Ryū Chishū (Sadao); produzione: Shōchiku; durata: 114’; prima uscita in Giappone: 1 ottobre 1952.