IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL (Hauru no ugoku shiro, MIYAZAKI Hayao, 2004)
SPECIALE MIYAZAKI HAYAO
di Marcella Leonardi
Nel 2013, in un’intervista con la scrittrice Dani Cavallaro (1), Miyazaki definì Il Castello errante di Howl la sua creazione preferita: “Volevo trasmettere il messaggio che la vita vale la pena d’essere vissuta e non credo che questo sia cambiato”.
Inghilterra, fine Ottocento. Sophie conduce una vita modesta come cappellaia. Un giorno incontra il bellissimo mago Howl in fuga dagli scagnozzi della perfida Strega delle Lande. Quest’ultima, mossa da invidia, scaglia una maledizione sulla ragazza trasformandola in una vecchietta. La povera Sophie decide di lavorare come sguattera per Howl, l’unico in grado di liberarla dall’incantesimo. Sarà grazie alla perseveranza e all’amore di Sophie che Howl ritroverà il proprio cuore e la regina guerrafondaia porrà fine al conflitto che lacerava da anni il paese.
Concepito dopo il successo di La Città Incantata (2001), il film nasceva tra grandi aspettative e un’eredità importante, quella di un patrimonio artistico e spirituale che le platee internazionali avevano iniziato a scoprire grazie all’avventura di Chihiro. Ma Miyazaki, coerentemente con il proprio spirito e visione, portò avanti il progetto senza minimamente preoccuparsi di lusingare le platee occidentali; anzi, Howl è un dichiarato manifesto pacifista e anti-americano, espressione della rabbia provata dal regista nei confronti dell’invasione americana dell’Iraq. Il film presenta scene e situazioni in aperta opposizione con il militarismo statunitense, e al proposito Miyazaki dichiarò: “Posso dire con notevole sicurezza che tutti i film che farò in futuro non avranno mai un grande successo in America. All’epoca della guerra in Iraq ho fatto uno sforzo consapevole per creare un film che non sarebbe stato apprezzato negli Stati Uniti.”(1)
Eppure non si può ridurre la complessità di Howl alle sole tematiche pacifiste. Il film è tra le opere più misteriche e filosofiche del regista: spicca, in particolar modo, una visione tanto audace quanto sensibile dell’animo femminile, rappresentato come compresenza di giovinezza e vecchiaia, attraverso un personaggio che si piega docile nelle mani del Tempo, attraversandolo con grande innocenza. Sophie è allo stesso tempo giovane e con una vita ancora da scoprire; ma ha anche cento anni sulle spalle e la sensazione di non avere più nulla da perdere. Le sue due identità scolorano l’una nell’altra, si sovrappongono con una delicatezza che ne confonde i lineamenti – e qui il disegno di Miyazaki raggiunge vertici altissimi, facendo di Sophie una tela in perenne mutazione (fig.1). Il suo volto diventa un panorama notturno/diurno, segnato dal sorriso o dal pianto, scomposto e goffo o colmo di grazia intangibile. Con Il Castello errante di Howl Miyazaki si avvicina alle leggi dell’universo – così astratte e distanti dalle fragili vite umane – per aprire un varco di comprensione e d’amore. Sophie, pura e inconsapevole, abbandona la sua anima nel vasto disegno delle cose, dimostrando l’inutilità delle convenzioni spazio-temporali in cui gli esseri umani circoscrivono le proprie esperienze. Allo stesso modo, il regista rifiuta le convenzioni narrative occidentali lasciando spazi “vuoti” di racconto, in cui le emozioni dei personaggi prendono vita in un respiro, in un pensiero fuggevole o semplicemente nell’abbandono alla natura circostante.
(fig 1)
Interpretata in originale dalla sensibile Baishō Chieko (che proprio di recente è tornata a incarnare le oscurità della vecchiaia in Plan 75), Sophie si arrampica sul dorso più aspro dell’esistenza con la stessa irriducibilità che la conduce lungo la montagna ventosa. Ed è proprio questo candore spaventato, ma sorretto dalla forza dell’amore, a guidarla intatta attraverso il male – rappresentato non tanto dalla Strega delle Lande, personaggio sfumato e altrettanto “incantato” in un limbo tra vecchiaia e infantilismo – ma dalla disumanizzazione della guerra (fig. 2), raffigurata con uno stile che omaggia Takahata (Una tomba per le lucciole, 1988). Nel mondo messo in scena da Il Castello Errante di Howl tutti i personaggi che circondano Sophie – da Howl alla Strega, da Suliman al suo cane-spia – ondeggiano tra bontà e amoralità, tra innocenza e peccato, spinti dalla labilità di una trasformazione che spira incessante sul loro essere.
(fig. 2)
Ma il film è anche una riflessione meravigliata e divertita sulla bellezza di un Narciso votato all’autodistruzione, la cui salvezza è resa possibile dall’amore. Howl è senza dubbio tra i personaggi più affascinanti creati da Miyazaki: bello di una bellezza androgina e delicata (quasi un Björn Andrésen del viscontiano Morte a Venezia), egli racchiude l’essenza del romanticismo in senso wildiano (fig. 3): esteta ed irrisolto, inconsapevolmente immorale, esaltato e luminoso come un adolescente che non sappia discernere il bene dal male, Howl non è in grado di controllare le sue derive “mostruose” e regala il proprio cuore al demone Calcifer, noncurante delle conseguenze. Ad Howl il regista dedica alcuni dei momenti più belli del film, come il valzer tra le nuvole delle scene iniziali, in cui Miyazaki ancora una volta “solleva” i suoi protagonisti al di sopra del reale, esprimendo il suo desiderio di volo; o la tragicomica sequenza della colorazione dei capelli, da cui Howl esce isterico e avvilito, tanto da sciogliersi in melma verde mormorando “se non si è belli è inutile vivere” (fig.4).
(fig. 3)
(fig. 4)
In questo film ogni essere umano è attraversato dalla furia trasformatrice e vitale del Tempo, che concilia gli opposti e li mette costantemente in confronto dialettico, lasciando che si rincorrano con spirito giocoso. Il divenire incessante, sostanza di tutte le cose, trova la sua manifestazione non solo in Sophie o Howl, ma è anche sublimato nel movimento sbuffante, cigolante, meccanico e antropomorfo del magnifico castello: un’invenzione tra Méliès e il cyberpunk, una casa instabile, mutevole e “pensante” (fig.5). Il suo rumore affaticato, le viti, le ali tremolanti e il “deragliamento” dell’estetica vittoriana fanno del castello una creazione di bellezza ansimante, vittoriosa contro ogni previsione. Animato dall’energia demoniaca di Calcifer, il Castello è lo spazio interiore di un racconto che cade nelle viscere della terra per poi elevarsi sino alle stelle. Tra devastazioni, anime perdute, improvvisi riconoscimenti e salvezza, è nel suo calore diroccato e tra le sue stanze polverose che resiste l’amore, combattendo in cieli solcati dalla guerra, fino al ritrovamento di un orizzonte più puro e azzurro, in cui i capelli di Sophie – “del colore delle stelle” brillano baciati dal vento.
(fig.5)
Titolo originale: ハウルの動く城; regia: Miyazaki Hayao; sceneggiatura: Miyazaki Hayao, dal romanzo Howl’s Moving Castle di Diana Wynne Jones; fotografia: Okui Atsushi; musiche: Joe Hisaishi; produzione: Studio Ghibli; durata: 119’; prima uscita in Giappone: 20 novembre 2004. Riconoscimenti: Tokyo Anime Awards – Miglior film, interprete, regista, colonna sonora, animazione dell’anno, 2004; Japan Media Arts Festival – Special Excellence Award a Miyazaki Hayao, 2004; 61° Festival di Venezia, Osella d’oro, 2004.
Note:
- Cavallaro, Dani (2015). Hayao Miyazaki’s World Picture.
- Intervista di Tamura Hironari a Miyazaki per il Nihon Keizai Shimbun (2006), successivamente tradotta nel libro Turning Point: 1997-2008.