MOTHERHOOD (Bosei), HIROKI Ryūichi, 2022
Sonatine Contemporanea
di Marcella Leonardi
Storia di madri squilibrate, immature e imperscrutabili, così come di figlie devote fino al masochismo e alla negazione del sé, Motherhood non è un film perfetto; ma il regista conduce uno straordinario studio dei sentimenti umani attraverso due generazioni. Ancora una volta il prolifico Hiroki sorprende e incanta per lo slancio innato e amorevole con cui si confronta con la complessità della psiche umana.
Rumiko ama teneramente sua madre Hanae ma non riesce a provare gli stessi sentimenti per sua figlia Sayaka. Raccontata sia dal punto di vista di Rumiko che di Sayaka, la vicenda si dipana come un thriller psicologico che prende le mosse dal ritrovamento di un corpo. Le fratture interiori delle due donne vengono messe a nudo tra dolorosi ricordi e traumatici colpi di scena, fino al disvelamento finale del mistero che ha segnato le loro vite.
Nell’ambito del suo cinema estremamente vario e curioso, che ama sperimentare, sovvertire i generi, aderire a codici per poi deviare in percorsi del tutto personali e originali, il regista è illuminato da una stella costante: la passione per gli esseri umani e lo sguardo, sensibile e vero, sui rapporti. Adattamento di un romanzo di Minako Tanae (l’autrice del celebre Confessions), Motherhood è il ritratto tormentato di una famiglia disfunzionale, tra ossessione, crudeltà e perversa dipendenza affettiva. Il regista ricorre a figure archetipiche del melodramma insinuando chiaroscuri e contraddizioni, creando personaggi inediti ed estremamente vivi, renitenti a qualsiasi schematismo.
Lasciando le due protagoniste libere di esprimersi in un flusso di coscienza che rivela quanto sia labile e sottile lo spiraglio tra normalità e follia, il regista frantuma il racconto nelle prospettive incomunicabili di Rumiko e Sayaka. Le vite interiori delle due donne si riflettono l’una nell’altra come in uno specchio; diari ritrovati, eventi inaspettati, dichiarazioni dirette di altri personaggi rendono ancora più complesso e disorientante lo scontro tra questi due universi opposti e misteriosi, lacerati dal bisogno d’amore. La verità, nei film di Hiroki, è sfuggente e soggettiva, e si cela in graziosi edifici borghesi dai colori pastello (così come accadeva nei film di Douglas Sirk), sotto una patina di rispettabilità domestica. La regia cattura, con la leggerezza di un respiro, le infinite possibilità dell’essere e il corrispettivo dominio di una gabbia pulsionale e sociale che inchioda le figure femminili a un ruolo: “Ci sono due tipi di donna. Una è madre e l’altra è figlia”.
Cinema di morte dentro la vita, Motherhood lascia che passato, presente e futuro dialoghino tra loro per lenire il dolore e le perdite. I fenomeni naturali assecondano l’incontro tra le dimensioni, comprendendo tutto nella violenza incendiaria del fuoco. Per il regista stesso, che scivola tra le epoche e trattiene dentro l’immagine la presenza fantasmatica della classicità (si veda la simmetrica composizione dell’inquadratura in interni e lo studio della profondità di campo), il tempo non è che una convenzione. Hiroki ha 70 anni ma fa cinema con giovanile anarchia: la sua aderenza alle contraddizioni dell’amore è totale, non teme eccessi né il ridicolo. E si sobbalza di fronte all’audacia della macchina da presa, che pure in un film “popolare” ci porta momenti di altissimo cinema: le simmetrie compositive e i movimenti all’unisono delle simbiotiche Rumiko e Hanae; i primi piani di Sayaka di fronte alla freddezza della madre Rumiko; l’innocenza della sequenza finale – un montaggio che assolve le crudeltà passate – che annulla la sofferenza e si protende esclusivamente verso la spiritualità dell’amore.
Grandissimo regista di attori, Hiroki estrae dalle sue interpreti una performance stilizzata che ha risonanza psicanalitica. I dialoghi appaiono scarni, talvolta rituali: coazioni a ripetere che lasciano emergere un mondo emozionale sommerso. Nagano Mei è così brava che leggiamo, in molte scene, i pensieri di Sayaka; la serenità che la giovane esprime nella chiusa è sincera, nonostante i soprusi subìti. Per Hiroki i sentimenti sono inscindibili da una sofferenza che è il personale percorso al martirio di ciascuno di noi su questa terra: una visione di radicale accettazione del dolore che rende Motherhood tanto affascinante quanto controverso.
Titolo originale: 母性; regia: Hiroki Ryūichi; sceneggiatura: Horiizumi Anne; soggetto: dal romanzo di Minato Kanae; fotografia: Nabeshima Atsuhiro; interpreti e personaggi: Toda Erika (Rumiko), Nagano Mei (Sayaka), Daichi Mao (Hanae); produttori: Koga Shunsuke, Minatoya Yasushi; durata: 119’; prima uscita in Giappone: 23 novembre 2022.