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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

INTERVISTA A KUDO RIHO

SPECIALE BERLINALE 74

15 – 25 febbraio 2024

A cura di Claudia Bertolé

kudo

Kudo Riho è una giovane regista (anno di nascita 1995) che si era già fatta notare con il suo progetto di laurea alla Kyoto University of Arts, il lungometraggio Orphans’ Blues, aggiudicatosi il Grand Prize al PIA Film Festival nel 2018, oltre a diversi altri premi. Il suo lavoro successivo, Let Me Hear It Barefoot (2021) è stato selezionato per il Festival internazionale di Rotterdam nel 2022. Più di recente, nel 2023, ha diretto un episodio della serie televisiva OZU: Ozu Yasujirō ga kaita monogatari, serie remake di sei film del periodo del muto di Ozu per celebrare i 120 anni dalla nascita. Ci siamo incontrate a Berlino lo scorso febbraio, in occasione del festival in cui è stato presentato il suo ultimo film, August My Heaven, un mediometraggio (40 minuti) dedicato alla distribuzione su una piattaforma online. È stata una bella occasione per farle qualche domanda sul nuovo lavoro, ma non solo…

 

August My Heaven è un mediometraggio sulla relazione fra tre personaggi, che si sviluppa tra sogno e realtà. È il tuo terzo film, se lasciamo da parte l’episodio della serie televisiva dedicata a Ozu. Cosa ne pensi del fatto che sia stato selezionato per la Berlinale?

Non mi aspettavo proprio che il film sarebbe stato selezionato per un festival così importante. In fondo si tratta di una produzione indipendente, non ad alto budget, focalizzata sulla distribuzione online. Il fatto che sia stato selezionato per la Berlinale, che sia proposto ad un pubblico così vasto, in questi bellissimi cinema, mi sembra un miracolo!

 

… quindi non avrà una distribuzione nelle sale?

No, infatti. È previsto che sia proiettato qui e probabilmente in un altro festival, ma non è ancora sicuro. Poi verrà reso disponibile sulla piattaforma online Roadstead.

 

È un film che continua ad approfondire uno dei temi già presenti nei tuoi precedenti lavori, vale a dire l’importanza della memoria. In Orphans’ Blues la protagonista perde la memoria, in Let Me Hear It Barefoot i due ragazzi costruiscono un mondo di ricordi legati ai viaggi da offrire come racconto alla loro amica…. Perché la memoria è così importante?

In Let Me Hear It Barefoot la signora anziana non ha ricordi reali, le sue memorie sono inventate, anche lei in un certo senso mente ai due ragazzi. Per quanto riguarda il tema della memoria, è importante per me perché quando ero piccola mia nonna a un certo punto aveva sviluppato il morbo di Alzheimer e non mi riconosceva più. È stata un’esperienza molto forte, per certi versi devastante, che non riesco a dimenticare e che è alla base delle mie riflessioni nei film. 

 

Nei tuoi film però, come anticipavi, molto spesso i ricordi reali si fondono con ricordi inventati, costruiti. E le memorie inventate diventano la base per la crescita e il consolidarsi del nuovo gruppo, quasi una “nuova famiglia”. Questo è particolarmente evidente in August My Heaven: il tema della famiglia rappresentata nella quale i legami, anche a partire da una finzione, si consolidano.

Sia in Let Me Hear It Barefoot, come dicevo, che in August My Heaven il punto di partenza dei personaggi è proprio una menzogna. Loro mentono rispetto alla reale situazione. In Let Me Hear It Barefoot i ricordi di viaggio che i due ragazzi riportano all’amica sono un falso, che lei accoglie come realtà.  Joe in August My Heaven finge di essere la compagna di Kaoru e quindi la loro relazione si basa su una bugia. C’è un motivo per il quale sono partita dall’idea della menzogna per sviluppare la storia. Innanzitutto neanche i personaggi nella loro relazione nel film hanno chiaro ciò che è realtà e ciò che è finzione. Kaoru crede che la parte interpretata da Joe sia realtà. Per contro Joe e Nanpei sono a conoscenza di quanto è vero e di quanto è inventato. E poi c’è lo spettatore, che è consapevole allo stesso tempo della realtà o della finzione nelle relazioni. Questa è la caratteristica particolare che ho voluto dare alla struttura delle relazioni nel film, e che potrebbe risultare evidente anche in una rappresentazione teatrale della storia: in sostanza trovo affascinante il ruolo che la menzogna assume nello sviluppo delle relazioni, dei punti di vista, e della trama. In particolare poi per August My Heaven lo spunto che ha dato il via al progetto è stato quando ho iniziato a pensare agli attori. Lavoro spesso con loro, e tra l’altro nella vita reale sono molto amici. Ho chiesto loro di interpretare qualcun altro rispetto al personaggio. Volevo partire da questo punto di vista: che nel racconto del film per i personaggi diventasse necessario interpretare qualcun altro. 

 

Il gioco delle focalizzazioni, dei punti di vista (pubblico, personaggi) mi è sembrato molto interessante. Tiene alta l’attenzione dello spettatore. Un altro aspetto che mi pare importante sono le relazioni sentimentali nei tuoi film. In Let Me Hear It Barefoot è molto delicato l’approccio alla relazione tra i due ragazzi. In August My Heaven è una sorta di relazione a tre… Quanto è rilevante la storia romantica nella trama generale?

Quando creo una storia mi concentro molto sui sentimenti dei personaggi. È un punto di partenza quando immagino una trama: oltre alle relazioni, alle memorie, a ciò che è reale e a ciò che è falso, sono fondamentali i sentimenti, le percezioni a livello emotivo dei personaggi. 

 

Quando hai realizzato di voler entrare nel mondo del cinema? 

Quando ero una teenager non seguivo molto i film… A diciassette anni però ho avuto un’esperienza che mi avrebbe segnata: ho letto Sakura della scrittrice Nishi Kanako e ne sono rimasta veramente colpita. Il romanzo mi aveva entusiasmata a tal punto che mi sono chiesta: come posso fare per condividere con altre persone le emozioni forti che mi ha regalato? L’unica risposta possibile in quel momento è stata: potrei realizzare un film! E così ho cominciato ad interessarmi alla produzione cinematografica. Se poi devo pensare a registi che mi avrebbero influenzata in seguito mi vengono in mente Wong Kar-wai e Edward Yang… 

 

Quanto è importante per te scrivere le sceneggiature dei tuoi film?

Premetto che chiaramente la fase di creazione può riguardare anche lavori televisivi però ritengo che il lungometraggio sia la forma migliore per me per esprimere ciò che sento e ciò che vorrei che il pubblico percepisse. E preferisco scrivere le sceneggiature delle opere che realizzo perché in questo modo il film rispecchia al cento per cento la mia visione. Al momento non ho preso in considerazione di adattare romanzi o manga e neppure di condividere la fase della scrittura con qualcun altro, ma se dovessi prima o poi incontrare una persona con cui condividere le emozioni e le idee che intendo trasmettere al film, potrei prendere in considerazione di lavorare con un co-autore.

 

Tu che sei una giovane regista, cosa pensi del numero crescente di registe giapponesi che si sono affermate negli ultimi anni, arrivando da studi di cinema o presentando le proprie opere ai festival?

Direi che non mi riconosco come una “regista donna”, piuttosto come una regista slegata dal concetto di genere. Sono però d’accordo che in Giappone negli ultimi tempi vi sia maggior possibilità per giovani registe che escono da scuole di cinema di ottenere finanziamenti per le loro opere. Un altro aspetto importante in questo senso sono certamente i festival. Vengono accettate le opere di giovani registi esordienti indipendenti, per esempio al PIA Film Festival. Molti registi affermati come Ogigami Naoko, Tsukamoto Shin’ya, Suwa Nobuhiro, hanno acquisito visibilità tramite i festival. Penso al Tanabe-Benkei Film Festival, al festival Tama New Wave, al Nara International Film Festival. Il PIA Film Festival è senz’altro uno dei più importanti, offre finanziamenti, co-produce e si occupa anche della fase di distribuzione dell’opera. Questi aspetti sono fondamentali per registi appena usciti dalle scuole di cinema. 

 

Per chiudere vorrei tornare a August My Heaven. A due sequenze in particolare: quella del tunnel, che mi sembra introdurre i personaggi in un mondo diverso e quasi onirico, e quella finale del volo dell’aquilone, che a me ha ispirato un gran senso di libertà.

La sequenza del tunnel voleva proprio rappresentare la metafora del cambiamento nelle relazioni. Ho cercato di lavorare sulla luce naturale, che è quella dell’alba all’imbocco e del pieno giorno all’uscita, come a far percepire l’ingresso dei personaggi in un “altro mondo”. L’aquilone sì certo, è proprio la metafora della libertà, si ricollega alle gabbie dell’inizio del film a rappresentare personaggi che erano prigionieri delle proprie memorie, mentre un aquilone a forma di uccello che si libra in cielo nel finale fa pensare alla libertà, alle svariate possibilità di evoluzione che, nella vita, hanno i rapporti tra le persone.

 

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