ALL THE LONG NIGHTS (Yoake no subete, MIYAKE Sho, 2024)
Speciale Nippon Connection
Francoforte, 28 maggio – 2 giugno 2024
di Davide Parpinel
Il nuovo film di Miyake Sho racconta di come un malessere fisico o del comportamento possano portare all’esclusione sociale. Nel fare ciò mantiene un approccio molto naturale e spontaneo, già visto nel precedente film Small, Slow, But Steady, evitando, quindi, colpi di scena e descrizioni ultra drammatiche per invece lasciare che la vicenda si sviluppi da sé. Forse, però, la storia prende una strada diversa da quella prevista dal regista.
Fujisawa soffre da sempre di sindrome premestruale e quando inizia a lavorare la situazione si aggrava in quanto le manifestazioni d’umore instabili, l’insonnia e le reazioni emotivamente eccessive compromettono il rapporto con i suoi colleghi. Un giorno questi la trovano a dormire in una stanza vuota dopo aver avuto un crollo emotivo. Fujisawa, quindi, scappa e avvia successivamente un processo di crescita, lavorando su se stessa grazie anche all’assunzione di farmaci. Passano cinque anni. Fujisawa ora lavora in un’azienda che produce giochi scientifici per bambini e qui ha trovato la sua serenità grazie anche a un gruppo di lavoro che la accetta e la supporta. Uno degli impiegati è Yamazoe, taciturno, schivo, volutamente solitario che sembra nascondere qualcosa. Il ragazzo, infatti, soffre di attacchi di panico e la conseguente instabilità lo ha costretto ad abbandonare la sua precedente carriera lavorativa. Con la sua fidanzata, inoltre, il rapporto non è più idilliaco, anche perché lei preme affinché Yamazoe si curi clinicamente. Fujisawa e Yamazoe sono pertanto destinati a conoscersi, scoprirsi e sostenersi nella ricerca di una dimensione di vita normale e durevole.
Partiamo dall’incontro tra i due protagonisti, Fujisawa e Yamazoe. Per come Miyake Sho pensa il suo film, il loro avvicinarsi appare inevitabile. La pellicola, infatti, inizia raccontando separatamente le due vite. Si parte dalla ragazza, dai suoi problemi di relazione con i colleghi di lavoro dovuti all’acutizzarsi della sua sindrome che si risolve nel salto in avanti e nel suo nuovo impiego. Qui c’è Yamazoe che invece volendo stare lontano dagli altri colleghi, attira l’attenzione dell’animo disponibile e comprensivo di Fujisawa. I due, così, cominciano a interessarsi l’uno dell’altro solo parzialmente, però. Il film, infatti, si dovrebbe, visti questi presupposti, focalizzare sulla scoperta reciproca dei loro problemi e sulla conseguente condivisione e superamento. In realtà la pellicola di Miyake indaga un malessere esistenziale più generale che riguarda una più vasta umanità in cui Fujisawa e Yamazoe sono solo due degli interpreti. Questo è dimostrato da diversi passaggi narrativi. La storia, infatti, privilegia raccontare le vite dei due protagonisti sempre separatamente. Si vede, quindi, nelle scene in ufficio Fujisawa stare accanto al giovane, ma poi al di fuori condurre la sua vita fragile e piena di dubbi da sola e pensare solo latentemente al suo collega. Allo stesso modo, Yamazoe anche dopo le ricercate attenzioni della ragazza che gli compra da mangiare, gli taglia i capelli, continua a percorrere la sua esistenza senza di lei. Parla e si confronta sui suoi attacchi di panico con altri personaggi ed è sostenuto primariamente dalla fidanzata che lo accompagna dalla psicologa la quale gli consiglia di superare le sue paure con metodi estremi. E ancora. Quando i due protagonisti scoprono che il loro capo e una loro ex collega appartengono a un gruppo di supporto per le persone i cui parenti si sono suicidati, il concetto di dolore espresso nel film si amplia ancora di più a una solidarietà allargata, quasi dimenticandosi di Yamazoe e Fujisawa. In un passaggio del film, inoltre, il loro ufficio organizza uno spettacolo sull’universo in una scuola elementare locale. In questa occasione i due protagonisti scoprono un nuovo modo di guardare il mondo in un concetto più assoluto che, però, non riguarda specificamente la risoluzione ai loro problemi. Ci mettiamo un altro dato. Il regista non sembra voler spiegare a chi guarda le origini dei problemi di salute dei due giovani (sono malesseri psicosomatici, stanno male a causa dell’insoddisfazione delle loro vite, del loro lavoro o sono stati schiacciati dalle loro ambizioni o dalla pressione sociale), per invece parlare più globalmente dei dolori delle vite di più persone. Il dato clinico singolo dei due protagonisti appare così solo un pretesto. La colonna sonora composta da un motivetto semplice e minimale ricorrente, la fotografia virata sui colori grigi, i grossi indumenti invernali indossati dai personaggi consolidano la definizione di una assoluta aria di malessere in cui, purtroppo, i due protagonisti sono solo semplici comparse e non il mezzo attraverso cui risolverlo. Miyake Sho fornisce, così, la cornice concettuale e poi chi guarda inserisce i riferimenti tematici e i valori umani autonomamente dedotti, come l’aiuto reciproco in caso di dolore, la crescita individuale anche grazie al gruppo, le condizioni di vita stressanti che portano all’acutizzarsi dei propri problemi, la necessità dell’aiuto condiviso, più in generale.
L’idea per cui All the Long Nights sembri un film più di contesto è sostenuta, infine, anche dal finale. Il film, infatti, non finisce, bensì semplicemente si interrompe lasciando allo spettatore un altro interrogativo: quindi Yamazoe e Fujisawa hanno risolto i loro problemi iniziali?
Titolo originale: 夜明けのすべて; regia: Miyake Sho; sceneggiatura: Seo Maiko (romanzo), Wanda Kiyoto, Miyake Sho; fotografia: Tsukinaga Yuta; montaggio: Okawa Keiko; musiche: Dj Hi’Spec; interpreti: Matsumura Hokuto (Takatoshi Yamazoe), Kamishiraishi Mone (Misa Fujisawa), Fujima Sawako (Manami Iwata), Imo Haruka (Chirihiro Oschima), Ryo (Noriko Fujisawa); produzione: Inoue Ryuta; distribuzione: Bandai Namco Filmworks, Ace Asmik; prima uscita in Giappone: 9 febbraio 2024; durata: 119’