INTERVISTA A OGIGAMI NAOKO
Speciale Nippon Connection
Francoforte, 28 maggio – 2 giugno 2024
A cura di Claudia Bertolé
Ogigami Naoko all’ultimo festival Nippon Connection ha fatto parte della Giuria del Nippon Visions Award e il suo film Ripples è stato presentato in concorso nella sezione Nippon Cinema.
La regista, originaria della Prefettura di Chiba, dopo un periodo di tempo trascorso negli Stati Uniti, al rientro in Giappone, nel Duemila, entra nel mondo dei filmmakers indipendenti. Al Pia Film Festival nel 2001 viene premiata per il cortometraggio Hoshino-kun, Yumeno-kun.
Negli anni successivi i suoi film avranno quasi sempre per protagonista una donna (fatta eccezione per Riverside Mukolitta del 2021 e per il nuovo lavoro Maru), spesso si tratta di qualcuno che affronta un cambiamento, che si sposta (come avviene in Kamome Diner del 2006, Glasses del 2007, Toilet del 2010) e che viene ritratto con uno stile leggero, da commedia, quasi fiabesco. Sempre più, col passare del tempo, la regista si sofferma su questioni familiari, ma anche sul senso di straniamento dovuto ad una perdita, argomenti che vengono trattati con sensibilità e delicatezza.
Ripples è un racconto incentrato su un personaggio femminile, una donna di mezza età che combatte per un proprio spazio e un proprio equilibrio. Anche nei precedenti film, fatta eccezione per Riverside Mukolitta e per il nuovo Maru, la protagonista è normalmente una donna. La figura femminile è centrale nel tuo cinema: cosa ne pensi del ruolo della donna nella famiglia e nella società giapponese in generale?
Le donne in Giappone devono ancora lottare contro una cultura tradizionale, io non condivido questo tipo di cultura, ma per esempio molte donne dell’età di mia madre o anche della mia generazione vivono realtà familiari nelle quali il padre è percepito come il vero ‘capo’ della famiglia e si ritiene di dover obbedire a ogni cosa che dice. Io stessa provengo da una famiglia del genere. Non mi stupisce che, nell’elenco delle nazioni in relazione al gender gap, il Giappone sia in una posizione molto bassa. Un paio di anni fa era anche emersa la notizia che in certi esami di ammissione le donne sono penalizzate, anche se hanno raggiunto un punteggio più alto non vengono ammesse, sono preferiti i maschi pur meno preparati, perché l’opinione comune è ancora quella che in ogni caso le ragazze a un certo punto si sposeranno e lasceranno il lavoro. Tutti questi aspetti mi fanno ritenere importante continuare a parlare di questi argomenti, perché stiamo ancora lottando contro una mentalità molto radicata.
… quindi non ritieni che negli ultimi anni la situazione sia migliorata?
No, secondo me no. Sono abbastanza pessimista al riguardo perché non mi sembra che si stiano facendo passi avanti.
E a proposito del ruolo della donna nella famiglia?
Anche in questo ambito, ancora oggi una grande maggioranza di donne non lavora, sono casalinghe, si dedicano esclusivamente alla famiglia e ai figli.
Per quanto riguarda la famiglia nei tuoi film si racconta spesso di ‘nuove’ famiglie, come per esempio in Kamome Diner o in Close-knit, di persone che si ritrovano insieme, che sviluppano legami e fanno parte di nuclei familiari che non seguono schemi tradizionali. Anche altri registi stanno riflettendo su queste nuove forme di aggregazioni familiari. Sta realmente accadendo in Giappone?
In un certo senso io spero che si vada in questa direzione, proprio come in Riverside Mukolitta, un gruppo di persone si ritrova a vivere insieme e si sviluppano relazioni importanti. Però non è proprio la realtà… tempo fa una coppia omosessuale giapponese ha scelto di trasferirsi in Canada perché in Giappone non sarebbe stato riconosciuto il loro essere una coppia e, in considerazione della situazione, le Autorità canadesi hanno concesso un visto per rifugiati. La società giapponese in teoria sembra che accetti situazioni come questa, ma in pratica le persone hanno difficoltà a trovare una casa per vivere insieme, non riescono a sposarsi, le regole dettate dalla tradizione sono ancora molto forti.
In Ripples un altro argomento importante su cui ti soffermi è la paura post Fukushima, a causa della possibile contaminazione da radiazioni, che condiziona la vita e le relazioni delle persone. Cosa ne pensi di questo senso di angoscia – mi viene in mente il personaggio della donna che abita in una casa stracolma di oggetti e ammette di non riuscire più a vivere dopo la tragedia – si percepisce tra la gente o è una sensazione che è stata in parte superata?
Direi che, per quanto riguarda le persone che vivono a Tokyo, la questione sia stata quasi del tutto superata, non ci pensiamo più molto, però qualcosa è rimasto. Io, per esempio, continuo a bere acqua in bottiglia perché mi preoccupo anche per mio figlio che è piccolo. La situazione è diversa per le persone della zona di Fukushima che hanno perso i loro cari, o che vivono con il timore di sviluppare malattie.
L’impressione che mi è rimasta dal film è di una ferita che le persone cercano in un qualche modo di medicare, dalla quale si vorrebbe guarire, ma il cui dolore persiste nell’animo.
È così. Il punto è che, dopo anni dalla tragedia, anche se si continua a ritenere che l’energia prodotta col nucleare sia pericolosa, il Governo ha comunque deciso di proseguire nella stessa direzione, e quindi è come se collettivamente avessimo la necessità di rimuovere la preoccupazione, anche dimenticando a poco a poco la tragedia. Ecco, io vorrei che non si dimenticassero mai questi eventi e il dolore che hanno causato alle persone.
Come è stata la ricezione del film in Giappone, in relazione sia al ruolo della donna nella società che in merito alla paura del nucleare?
Direi che è stata positiva, soprattutto per quanto riguarda la figura di questa donna che vorrebbe trovare un modo per sentirsi finalmente libera.
C’è un altro argomento di cui mi interessa il tuo parere: la situazione delle registe in Giappone. Pensi che rispetto a quando hai iniziato tu la carriera nel mondo del cinema, la situazione sia mutata, che le ragazze che intendono percorrere questa strada abbiano maggiori opportunità oggi?
Sì, secondo me le prospettive sono per certi versi migliorate. All’epoca non c’erano molte donne che volevano diventare registe…
…no, infatti, oggi se ne nota sicuramente un numero maggiore, arrivano da scuole di cinema, presentano le loro opere ai festival…
Non sono così sicura però che alla resa dei conti oggi sia più facile di un tempo, è complicato per chiunque, donna o uomo, diventare regista (ride), il punto forse è che, almeno per le giovani generazioni, l’approccio è cambiato perché loro non pensano più che sia un mondo esclusivamente maschile, quindi si mettono in gioco. Alla mia epoca non era così, si pensava che fosse un lavoro solo per uomini e quindi non molte donne immaginavano di poter diventare registe.
E invece per quanto riguarda la rappresentazione della donna nei film giapponesi recenti, cosa ne pensi?
Vengono rappresentati diversi caratteri femminili, però mi viene in mente, per esempio, il film di animazione Your Name (Kimi no na wa) di Shinkai Makoto: rende una figura femminile che è ancora l’ideale maschile, una figura stereotipata, e diversi registi sono ancora legati a questi schemi. Le registe invece rappresentano figure di donne più aderenti alla realtà.
Vorrei farti una domanda che riguarda i tuoi esordi: tempo fa si definiva il tuo cinema di “guarigione emozionale” …
Beh, Ripples non lo è…
No, infatti… ho sempre pensato che nel tuo cinema ci fosse molto di più. Cosa ne pensi di questa definizione?
Mi sembra strano che i miei film vengano definiti di “guarigione emozionale”, ad essere onesta mi fa sentire anche un po’ a disagio… in ogni caso va bene se lo dicono, ma sento comunque di dover cambiare, vorrei uscire da certe etichette e realizzare sempre qualcosa di diverso, è quasi una sfida…
Nel tuo nuovo film Maru un cambiamento è da subito evidente: come abbiamo detto sarà focalizzato su un personaggio maschile, un uomo che perde il lavoro. Quindi il racconto di una perdita, in questo caso dell’occupazione, con lo stile che ti contraddistingue, con cui riesci a rappresentare aspetti seri e profondi della vita ma con humor, come fosse una favola… mi è sembrato di capire che questo nuovo film sarà così.
Sì, lo spero veramente…
È previsto che esca in Giappone a ottobre?
Sì, esattamente, e magari lo porteremo a qualche festival…
Nei tuoi film, fino a Toilet, c’era spesso l’attrice Motai Masako, un volto riconoscibile in diverse splendide interpretazioni…
Sì una grandissima attrice. Un’altra attrice con la quale ho lavorato e che sarà anche nel mio prossimo film Maru è Kobayashi Satomi, dopo anni mi ha sorpresa riscoprire quanto sia eccezionale.
So che hai realizzato anche opere per la televisione, per esempio partecipando alla serie Modern Love Tokyo, cosa ne pensi del lavoro per la tv rispetto al cinema?
Pagano bene (ride), ma io preferisco fare film. Preferisco il grande schermo e quando realizzo le riprese lo faccio pensando che il risultato verrà proiettato in una sala cinematografica. Lavorare per una serie televisiva in Giappone significa non avere tempo e correre sempre, non è il mio modo di lavorare, non quello che preferisco. E anche la fase di montaggio è diversa. No, ripeto, io quando realizzo un film ce l’ho in mente per la visione sul grande schermo.
Ripples (2023)