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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

HAPPY LIFE (Kiki na seikatsu, TANIGUCHI Yoshihiko, 2024)

Speciale Skip City International D-Cinema Festival 2024
di Matteo Boscarol

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Frutto, riuscito, di un esperimento e sorta di workshop che il regista ha messo in piedi con i suoi giovani studenti della scuola di recitazione dove insegna, Happy Life si è portato a casa due premi nella competizione internazionale del festival, il Premio della Giuria e il Skip City Award. È proprio grazie all’ottimo lavoro fatto dai giovani interpreti e, a livello di scrittura, da Taniguchi che il lungometraggio riesce a mantenere quel difficile equilibrio fra realismo e freschezza visiva che lo rende un’opera semplice, ma allo stesso tempo mai banale.

Kiki è una studentessa delle scuole medie che si ritrova a “guidare” la propria famiglia, composta da fratello e sorella minore, Ryo e Anna, dopo che la madre muore precocemente ed il padre si ritira in sé stesso perdendo il lavoro e il senso della realtà. Il complesso di appartamenti in cui hanno traslocato quando la madre era ancora in vita è il paesaggio provinciale dove si svolgono le vicende di questi ragazzi che vengono aiutati dai vicini, ma che devono fare i conti anche con i problemi di bollette non pagate e l’affitto che non riescono a mantenere.

Le prime scene del film ci introducono nel mondo domestico della famiglia, quando la madre era ancora in vita, le celebrazioni per il nuovo appartamento sono riprese con videocamera e stile amatoriale, fra i sorrisi dei ragazzi e quelli del padre.I primi minuti sono quindi una sorta di ricordo dei tempi felici quando tutta la famiglia era unita e funzionale, presentati come una sorta di raccolta di filmini di famiglia. La videocamera si stabilizza e la fotografia di Mayumi, la madre scomparsa, all’interno dell’appartamento ci dicono subito che siamo passati nel tempo presente del lungometraggio, nel post-tragedia. Ma l’atmosfera, pur non essendo quella gioiosa e spensierata dei primi minuti, non è troppo disperata e cupa. I tre ragazzi si danno da fare come possono, soprattutto Kiki si sente responsabile per fratello, sorella e padre e fa dei lavoretti dopo la scuola, o più spesso, invece di andare a scuola.
Un giorno nel parco vicino casa, Kiki incontra la sua ex insegnante, la signorina Kozuma, che pian piano si interessa della situazione della famiglia e comincia a visitare il loro appartamento e cucinare per loro. Il padre è sempre a casa, disteso, in uno stato di stupore quasi larvale e gli unici momenti di felicità sono quelli in cui si ricorda o sogna di quando assieme alla moglie curava le piante nel piccolo terrazzino, scene che sono sempre presentate come memorie montate da filmini di famiglia.
Contemporaneamente al nascente rapporto con la sua vecchia insegnante, Kiki riceve delle offerte di lavori più retribuiti, ma illegali che per fortuna rifiuta, e instaura un rapporto speciale con una delle sue compagne di classe, Miyu. Questa la porta in un karaoke dove ha un appuntamento a pagamento con un adulto, e, spinte da Kiki, le due decidono di scappare. Il film non esagera mai nella sua drammaticità, anche nei momenti in cui sembra debba succedere qualcosa di terribile, come nel caso del karaoke in questione. In un altro momento difficile per la famiglia, un vicino di casa si reca nell’appartamento della famiglia per richiedere che se ne vadano dal complesso abitativo, dopo che in uno scatto di rabbia senza motivo, il padre aveva scaraventato la bicicletta della figlia del vicino per terra. Ma anche qui c’è una breve colluttazione che non si trasforma in tragedia, pur risultando nella decisione del padre di visitare un ospedale per analizzare la sua salute mentale, una decisione che, saggiamente la signorina Kozuma aveva spinto più volte. Il vicino di casa che si comporta in maniera meschina, il padre che lascia i suoi figli in balia del mondo, o ancora il sararīman che paga le studentesse per fargli compagnia al karaoke; tutti gli uomini sono ritratti nel film come dei perdenti e degli esseri umani deboli, quando non miseri.
Sono le donne, l’insegnante, una vicina molto gentile che prepara il cibo per la famiglia e soprattutto Kiki, che si danno da fare e lottano per un futuro di speranza.
Ma se Happy Life funziona lo si deve soprattutto all’incredibile prova attoriale della diciassettenne Nishiguchi Chiyuri nel ruolo della protagonista. Nishiguchi rappresenta alla perfezione il doppio significato che il suono del suo nome può richiamare, da una parte Kiki rimanda al kiki del titolo, felicità, ma anche al kiki che significa crisi. La ragazza attraversa, assieme alla famiglia, un periodo di crisi ma in qualche modo riuscendo sempre ad avere un senso di possibile felicità come orizzonte a cui tendere.
Il film si conclude con una toccante e ben congegnata scena dove Miyu rivela all’amica che si trasferirà in un’altra città, prima vediamo le due ragazze riprese insieme in un campo medio, ma quando le due si salutano e Kiki cammina fuori dal parco in cui si trovano, Miyu comincia a filmarla con il suo telefonino. Le nostra prospettiva diventa quella di Miyu che sta filmando e quando Kiki si accorge di essere seguita e filmata attraverso le fronde degli alberi, le due cominciano a correre e a sorridere di una gioia liberatoria che conclude il lungometraggio.

Titolo originale: 嬉々な生活 (Kiki na seikatsu); regia, sceneggiatura:Taniguchi Yoshihiko; personaggi e interpreti: Kiki (Nishiguchi Chiyuri), Kozuma (Watanabe Ayako), l’amica Miyu (Mōri Mio), il padre (Kawamoto Sankichi), Anna (Ishibashi Yua), Ryō (Takeuchi Daiki), Mayumi la madre (Nakata Iroha); produzione: belly roll film; durata: 91’; anno: 2024.

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