HIMIKO (id., SHINODA Masahiro, 1974)
SONATINE CLASSICS
FEMMES FATALES E DINTORNI
di Claudia Bertolé
In un radura remota, sotto lo sguardo di giovani cervi che corrono tra gli alberi, il sole penetra nel bosco e nel corpo della regina sciamana Himiko, la “figlia del sole”. Inizia così, con un orgasmo propiziatorio, il film di Shinoda Masahiro su una figura misteriosa e dai tratti ancora avvolti da incertezza, che nell’opera di uno degli esponenti della Nouvelle Vague giapponese si fa allo stesso tempo eco di un passato lontano e modello di femminilità dal fascino potente, distruttivo e irresistibile.
La leggenda della regina Himiko ha luogo nel III secolo, nel tardo periodo Yayoi (400 a.c. – 300 d.c.), nel potentato di Yamatai, uno dei regni feudali dell’arcipelago nipponico. La donna è la voce terrena del dio del Sole, assistita da molte ancelle e da un unico uomo, in un mondo nel quale coabitano non troppo pacificamente adoratori degli dei della montagna, della terra e degli dei celesti. Improvvisamente ritorna alla corte del re Ohkimi Takehiko, fratello della sciamana per parte di padre, e la donna se ne innamora perdutamente. Viene accusata di aver perso i propri poteri a causa del sentimento per il giovane, ma aver messo in dubbio gli oracoli della sciamana sarà la causa della morte del sovrano. Di lì a poco anche Takehiko, che nel frattempo tradisce la regina con un’adoratrice degli dei della terra, Adahime, e la stessa Himiko, non avranno sorte migliore. Al posto di Himiko una giovanissima Toyo si farà nuova interprete del volere della divinità.
Presentato in concorso al festival di Cannes del 1974, Himiko è un’opera fantastica che si sviluppa in un’atmosfera di cupa teatralità, nella quale i personaggi interagiscono in scenari che alternano rigide geometrie a vastità naturali dall’aspetto lunare. Un mondo altro, remoto e imperscrutabile, popolato da agglomerati tribali in lotta per il potere e che la rappresentazione cinematografica di Shinoda rende ancora più indecifrabili e distanti: maschere aliene come le figure umane dipinte di bianco che si muovono con un’andatura incerta sulle alture, o elementi estetici di un quadro, al pari dei colori, delle luci e delle ombre, come il re Ohkimi e la sua corte.
Shinoda – autore di più di trenta film tra cui ricordiamo Pale Flower (1964), Assassin (1964), Beauty and Sadness (1965) e Double Suicide (1969) – risale a un tempo che ha segnato le origini dell’odierno Giappone e ci offre un’eroina potente. Himiko è un’opera nella quale erotismo, morte e conflitto di genere si fondono nella descrizione di una protagonista che, nell’interpretazione di Iwashita Shima, moglie del regista, ha tutte le caratteristiche della femme fatale. Come tale attrae Takehiko nella propria rete e nel momento in cui diviene consapevole del tradimento di lui, ne determina la morte.
Ima-Izumi Yoko, nel suo saggio A Land Where Femmes Fatales Fear to Tread: Eroticism and Japanese Cinema¹ sostiene che le femmes fatales del cinema giapponese, a differenza di quelle americane, appaiono spesso “incompiute” a causa di una sorta di paura collettiva della potente carica erotica che emanano, una paura fortemente radicata nella cultura giapponese.
Nel caso di Himiko il modello arriva a compimento, ma il trionfo è breve. La regina sciamana viene uccisa perché ha travalicato il ruolo che il sistema le aveva assegnato e il suo potere erotico e distruttivo va eliminato. La sequenza della morte di Himiko, assalita da un gruppo di uomini e pugnalata ai genitali, è emblematica.
Takehiko invece muore mentre tenta di fuggire nel bosco e l’inquadratura finale del giovane è quella di un corpo trafitto dalle frecce, un antico-moderno San Sebastiano.
La teatralità del film di cui si diceva si poggia anche su una messinscena fatta di colonne e piattaforme, sul confine netto di zone d’ombra e di luce, sull’utilizzo dei colori bianco e rosso in particolar modo, a creare uno scenario nel quale si muovono i personaggi spesso all’apparenza come se scivolassero sospesi. Infine un senso di compresenza, di comunità distinte, di ambiente naturale e non, conduce a un finale sorprendente nel quale antico e presente coesistono quasi per magia nelle immagini, come se il cinema, con un repentino movimento a salire della macchina da presa, permettesse di superare il confine insuperabile del tempo e del mistero.
1. «Japan Review» n. 10 (1988), www.jstor.org
Titolo originale: 卑弥呼 (Himiko). Regia: Shinoda Masahiro; sceneggiatura: Shinoda Masahiro, Tomioka Taeko; fotografia: Suzuki Tatsuo; montaggio: Yamaji Sachiko; musica: Takemitsu Tōru; interpreti e personaggi: Iwashita Shima (Himiko), Kusakari Masao (Takehiko), Yokoyama Rie (Adahime), Kawarazaki Choichiro (Mimaki), Kawarazaki Kenzo (Ikume), Katō Yoshi (Re Ohkimi), Mikuni Rentarō (Nashime); produzione: Iwashita Kiyoshi, Kazui Kinshirō, Shinoda Masahiro. Uscita in Giappone: 9 marzo 1974. Durata: 100’.