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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

FEMALE PRISONER #701: SCORPION (Joshū 701 gō / Sasori, ITŌ Shun’ya, 1972)

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FEMMES FATALES E DINTORNI

di Claudia Bertolé

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Esordio alla regia di Itō Shun’ya, che poi ne dirigerà altri due della serie, Female Prisoner #701: Scorpion è un film che affonda le proprie radici nella sexploitation, inscrivendosi nel genere pinky violence. Allo stesso tempo si offre come sorprendente opera prima che alterna soluzioni teatrali e movimenti azzardati della camera ad un utilizzo quasi espressionista di luci e colori, introducendo un personaggio iconico nell’interpretazione indimenticabile di una delle attrici più carismatiche degli anni Settanta: Kaji Meiko.

Matsushima Nami è in carcere condannata per il tentato omicidio del detective Sugimi, l’uomo di cui era innamorata e che non aveva esitato ad infiltrarla in una indagine su un traffico di droga. La ragazza viene scoperta e violentata da un gruppo di criminali e risulta allora evidente che Sugimi l’ha in realtà usata come merce di scambio per fare affari con la malavita. La prigione in cui viene rinchiusa, e dalla quale tenta più volte di fuggire, è luogo di violenze e soprusi continui, sia da parte delle guardie carcerarie che da parte di altre detenute. Durante una rivolta finalmente Nami ha l’occasione per portare a termine la fuga e mettere così in atto la propria vendetta.

 Tratto dal manga omonimo di Shinohara Tōru, il film è il primo di una serie di dieci pellicole con il personaggio di Sasori (Scorpion), dei quali quattro interpretati da Kaji Meiko (approdata alla Toei dopo aver lasciato la Nikkatsu), tre con la regia di Itō Shun’ya: Female Prisoner Scorpion: Jailhouse 41 (Joshū sasori: Dai-41 zakkyobo, 1972), Female Prisoner #701 Scorpion: Den of the Beast (Joshū sasori: kemonobeya, 1973), Female Prisoner #701 Scorpion: Grudge Song (Joshū sasori: urami bushi, 1973, diretto da Hasebe Yusuharu).

Nel film coesistono due anime: da un lato il rispetto delle regole del genere – e del sottogenere “women in prison” – che prevedono molte sequenze di erotismo, violenza e soprusi nei confronti delle donne incarcerate, a partire dalla ‘sfilata’ delle detenute nude, in apertura, sotto lo sguardo fin troppo eloquente delle guardie; dall’altro un’evidente critica al sistema patriarcale e all’autorità. A questo riguardo il film si apre con una cerimonia durante la quale viene premiato il direttore del carcere per la dedizione dimostrata al servizio, sequenza che fornisce da subito la rappresentazione di un potere che celebra se stesso in maniera pomposa e retorica. Lo stesso personaggio di Nami/Sasori poi, costruito con una sapiente alternanza di sguardi e silenzi, sottolinea con gesti muti e occhiate furiose tutta la determinazione di una donna che intende ottenere personale giustizia in un mondo dominato da logiche di soprusi maschili.

Il film è pervaso da atmosfere dal sapore espressionista, con utilizzo antinaturalistico dell’illuminazione e  di inquadrature oblique che mettono in risalto le posizioni deviate di potere, come nel caso della detenuta-aguzzina che sevizia Nami mentre quest’ultima si trova in una cella di isolamento. Non mancano momenti di rivisitazione quasi horror,  come la sequenza della doccia nella quale una rissa tra detenute in cui è coinvolta anche la protagonista, si trasforma in una rappresentazione del mostruoso con volti dai lineamenti deformi.

È poi in particolare in un lungo passaggio visionario nel quale Nami ricorda i momenti di passione con Sugimi, poi il tradimento e infine lo stupro da parte del branco di delinquenti che l’alternanza di luci, ombre, soluzioni teatrali, con pareti che si spostano e ruotano a cambiare scena come su un palcoscenico, dà vita a un crescendo che è quello della memoria dolorosa. Il momento della violenza subita dalla ragazza è ripreso dal basso, come se lei si trovasse distesa su una lastra trasparente e nell’inquadratura rimangono scolpite le espressioni disumane degli stupratori.

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Kaji Meiko, con la sua fisicità androgina e potente, interpreta l’eroina in un mondo deviato e la lunga sequenza della vendetta, mentre si muove alla ricerca dei propri aguzzini è celebrata dalle note della canzone Urami Bushi tema del film che lei stessa interpreta. Indimenticabile così come il personaggio di Sasori, nel cappotto scuro e con il volto coperto dal cappello, che ha travalicato i tempi e ha dato prova di persistenza nell’immaginario non solo degli spettatori: Sono Sion, nel suo Love Exposure  (Ai no mukidashi, 2008), attinge e rimanda e, nella rappresentazione di identità fluttuanti, fa rivivere l’emozione di Sasori.

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Titolo originale: 女囚701号/さそり(Joshū 701 gō / Sasori). Regia: Itō Shun’ya; sceneggiatura: Kōnami Fumio, Matsuda Hirō; fotografia: Nakazawa Hanjirō; montaggio: Tanaka Osamu; musica: Kikuchi Shunsuke; interpreti e personaggi: Kaji Meiko (Matsushima Nami/Scorpion)), Natsuyagi Isao (Sugimi), Yokoyama Rie (Katagiri), Watanabe Yayoi (Kida Yukiko), Mihara Yōko (Masaki), Negishi Akemi (Otsuka); produzione: Yoshimine Kineo. Uscita in Giappone: 25 agosto 1972. Durata: 87’.

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