MERMAID LEGEND (Ningyo densetsu, IKEDA Toshiharu, 1984)
SPECIALE ANNI OTTANTA
Film disponibile in versione restaurata Blu-ray presso Third Window Films
di Jacopo Barbero
Tra i registi fondatori della Director’s Company—nata nel 1982 per offrire maggiore libertà creativa a giovani cineasti in cerca della propria identità artistica nel turbolento panorama produttivo degli anni Ottanta*—Ikeda Toshiharu aveva mosso i primi passi nel cinema softcore, lavorando alla serie Roman Porno della Nikkatsu. Il suo passato nel pinku-eiga emerge con chiarezza in Mermaid Legend (1984), primo film diretto dal regista sotto l’egida della Director’s Company. Film acquatico, sensuale e misterioso — costantemente in bilico tra lirismo e brutalità—Mermaid Legend è tra le opere più affascinanti degli anni Ottanta, testimonianza della vivacità creativa di questo periodo spesso negletto nella storia del cinema nipponico.
Migiwa e suo marito Keisuke, pescatori in una tranquilla cittadina sul mare, vedono la loro serenità infrangersi quando una compagnia edilizia, con il supporto di autorità locali corrotte, annuncia la costruzione di un parco divertimenti, minacciando di espropriare la comunità locale. Quando Keisuke assiste all’omicidio di un pescatore che si oppone al progetto, diventa un testimone scomodo e viene brutalmente assassinato. Per insabbiare il delitto, le autorità corrotte incolpano Migiwa, trasformandola nel perfetto capro espiatorio. Devastata dal dolore e dalla rabbia, la donna decide di farsi giustizia da sola. Mentre Migiwa svela una rete di inganni e violenza dietro la tragedia, la sua sete di vendetta la trasforma in una figura implacabile e quasi soprannaturale, trascinandola in una spirale di distruzione.
Alla sua uscita, Mermaid Legend ottenne tre premi (miglior regista, attrice e fotografia) al Yokohama Film Festival nel 1985, un riconoscimento sorprendente per un’opera che integra così esplicitamente gli elementi tipici del cinema di exploitation. Nudità, sesso esplicito e violenza sanguinosa sono copiosamente presenti nel film, che affonda le sue radici nel cinema di genere: si pensi alla lunga scena di sesso tra Migiwa e l’infingardo Shohei (in cui solo i genitali vengono offuscati), all’uccisione dello yakuza e al massacro finale. Le fontane di sangue che sprizzano sullo schermo paiono chiare ispirazioni per tanto cinema giapponese successivo (le evirazioni grandguignolesche di Love Exposure di Sono Sion, per citare un esempio) e il contrasto tra il ritmo lento e compassato del film e le esplosioni di violenza brutale non possono non ricordare le opere del primo Kitano. In antitesi rispetto all’enfasi su motivi pruriginosi come violenza e sesso—chiaramente di richiamo per il pubblico—il film di Ikeda è però anche profondamente lirico nel tratteggiare un personaggio femminile complesso e contraddittorio, nel quale una grande Shirato Mari è capace di infondere un misto di fragilità e ferocia repressa. Il film e il personaggio di Migiwa esistono nella tensione tra la brutalità del suo corpo ricoperto di sangue e la poesia delle riprese subacquee, in cui la donna si manifesta come sublime creatura abissale di bianco vestita, in armonia con un microcosmo oceanico ovattato, non popolato da uomini, bensì solo dai tenui colori e lenti movimenti delle alghe, dell’acqua e della luce. Il sapiente uso del ralenti nelle scene subacquee, magnificamente animate dalla colonna sonora di Honda Toshiyuki, contribuisce a trasmettere un senso di sospensione e calma, in forte contrasto con i feroci eventi sulla terraferma.
Le liriche sequenze subacquee e la trasfigurazione di Migiwa nella sirena del titolo, creatura mitologica fortemente legata alla natura e all’ambiente marittimo, riflettono anche il sottotesto socio-politico del film. Ikeda è assai esplicito nell’infondere il film di riferimenti ad ansie tipiche del decennio, legate al capitalismo proliferante, alla devastazione ambientale e, in particolare, al nucleare. Quando diventa chiaro che la compagnia edilizia del film stia ingannando la comunità locale e lavorando segretamente alla costruzione di una centrale nucleare, la figura di Migiwa e la sua vendetta spietata divengono indici manifesti del sottotesto ambientalista del film: la sua rabbia selvaggia è la furiosa ribellione della natura profanata dagli uomini e la vendetta per il marito pescatore è il tentativo di riscattare l’oppressione implacabile di uno stile di vita semplice e primordiale, messo sempre più in discussione dal progresso e dal capitale.
* Per un’introduzione al contesto del cinema giapponese negli anni Ottanta, si veda “Il cinema giapponese negli anni Ottanta” di Matteo Boscarol, in apertura al nostro speciale su Sonatine.it.
Titolo originale: 人魚伝説 (Ningyo densetsu); regia: Ikeda Toshiharu; sceneggiatura: Nishioka Takuya; fotografia: Maeda Yonezō; musica: Honda Toshiyuki; interpreti: Shirato Mari (Saeki Migiwa), Shimizu Kentarō (Miyamoto Shohei), Etō Jun (Saeki Keisuke), Miyaguchi Seiji (Tatsuo), Miyashita Junko (Natsuko), Aoki Yoshirō (Miyamoto Terumasa), Kanda Takashi (avvocato Hanaoka), Seki Hiroko (Nobu); produzione: Director’s Company, Art Theatre Guild (ATG); durata: 110’; anno di produzione: 1984; uscita in Giappone: 14 aprile 1984.