NO MORE COMICS! (Komikku zasshi nanka iranai!, TAKITA Yōjirō 1986)
SPECIALE ANNI OTTANTA
di Fabio Canessa
Dai pruriginosi roman porno al commovente dramma Departures (Okuribito, 2008) che gli ha regalato la fama internazionale grazie alla vittoria dell’Oscar come miglior film straniero nel 2009. Muovendosi con disinvoltura tra i generi Takita Yōjirō ha disegnato una traiettoria artistica eterogenea che tocca uno dei punti più alti, per originalità e forza espressiva, con quest’opera di stampo satirico contro gli eccessi e il sensazionalismo dei media.
Kinameri è un giornalista televisivo impegnato principalmente nel gossip su personaggi del mondo dello spettacolo. Quando gli ascolti dei suoi servizi inseriti nella fascia pomeridiana calano, viene spostato in un programma notturno finché non si mette a indagare per conto suo sull’attività sospetta di una società che propone soprattutto ad anziani futures sull’oro.
Come sottolineato nella presentazione di questo speciale dedicato agli anni Ottanta, diversi nuovi registi giapponesi che si affermano nel periodo provengono dalla palestra del cinema erotico. Tra questi c’è Takita Yōjirō che dopo la gavetta come assistente per produzioni rientranti nel genere debutta nel 1981 con Molester and the Female Teacher (Chikan onna kyōshi) il primo di una serie di soft porno che dirigerà nel lustro successivo. La svolta che apre la sua carriera a nuovi orizzonti arriva proprio con No More Comics! (Komikku zasshi nanka iranai!), selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs del festival di Cannes del 1986. Il film ottiene elogi dalla critica e riconoscimenti nei più storici premi cinematografici nazionali: Uchida Yūya vincitore come miglior attore ai Kinema Junpo Awards, e premio per la sceneggiatura, scritta a quattro mani con Takagi Isao, ai Mainichi Film Concours. Un soggetto che prende spunto da un evento di cronaca dell’anno prima, l’uccisione del responsabile di una truffa davanti alle telecamere.
Attorno a questo episodio, rievocato nel film con una scena che propone un cameo di Kitano Takeshi in versione violentissima, la trama affastella situazioni più o meno ispirate a fatti reali con la presenza anche di personaggi che interpretano loro stessi, come la cantante Matsuda Seiko popolarissima in quel periodo, mentre sono inseguiti da Kinameri a caccia di scoop. Se nel film veste i panni dell’indefesso reporter, nella vita reale Uchida sapeva bene cosa voleva dire trovarsi dall’altra parte, essere lui il soggetto di giornali scandalistici o di servizi tv invasivi della privacy. Già stella del rock in Giappone prima di diventare attore, chiamato tra l’altro ad aprire lo storico concerto dei Beatles a Tokyo del 30 giugno del 1966, aveva fatto parlare di sé anche per questioni private: da problemi con la legge per droga e possesso d’armi, al matrimonio con l’attrice Kiki Kirin, allora nota soprattutto per serie televisive e in età avanzata indimenticabile interprete di diversi film di Koreeda Hirokazu.
Non è quindi difficile immaginare come Uchida abbia riversato qualcosa della sua esperienza personale nella sceneggiatura che si sviluppa narrativamente con una struttura disarmonica, una successione di vignette che raccontano le (dis)avventure di Kinameri. Dagli inseguimenti delle celebrità per estorcere commenti su voci che le riguardano a servizi su persone comuni che servono a mettere in risalto il malcostume di certo giornalismo, come la sequenza in cui si infila al funerale di una ragazza trovata morta in un love hotel e finisce per chiedere alla madre cosa pensa abbia portato la figlia quattordicenne alla prostituzione. Il tono grottesco investe tutti i reportage a cui lo vediamo lavorare, mostrandolo per esempio intento a intervistare un bambino su una possibile guerra tra famiglie yakuza o impegnato in prima persona sul set di un film erotico.
Il film segue un andamento quasi per capitoletti che si sposa con lo stile di regia, con l’utilizzo ricorrente di long take se non veri e propri piani sequenza a simulare servizi televisivi nei quali il punto di vista adottato è la soggettiva dell’operatore che segue il giornalista. Un personaggio, quest’ultimo, tenace e per certi versi senza scrupoli da una parte, frustato e alienato dall’altro. Sognava di seguire le orme di Woodward e Bernstein, gli eroi dell’inchiesta del Washington Post sullo scandalo Watergate, e si ritrova a fare tutt’altro giornalismo, come tanti che ancora oggi si affacciano alla professione con un’idea romantica per fare poi i conti con una realtà un po’ diversa. Kinameri si aggira come uno zombie, apatico, con un volto impassibile, fino a quella che si può considerare una vera e propria crisi di coscienza quando nel finale getta il microfono, trasformato quasi in un’arma impropria. Il film attacca la degenerazione dell’informazione con i media indirizzati più che a raccontare e interpretare la realtà, a creare intrattenimento, denuncia un sistema e i suoi eccessi come altri film ascrivibili allo stesso filone a cominciare ovviamente da Quinto potere (1976) di Sidney Lumet. Anticipando anche le riflessioni sul bombardamento di immagini e la violenza che Oliver Stone metterà al centro del suo Assassini nati (1994). Basta ricordare le parole pronunciate a un certo punto da quello che appare come un alto dirigente dell’emittente in cui lavora Kinameri: “Io penso che la televisione sia una sorta di scatola magica che vomita un flusso di immagini scollegate”. Un discorso che conclude con l’invito, per creare un programma di successo, ad “Agitare il fango e tirarlo in faccia alla gente”. Visione cinica che, per ricordare Ryszard Kapuściński, uno dei più grandi reporter del Ventesimo secolo, dovrebbe essere incompatibile con la professione del giornalista.
Titolo originale: コミック雑誌なんかいらない! (Komikku zasshi nanka iranai!). Regia: Takita Yōjirō ; sceneggiatura: Takagi Isao, Uchida Yūya; fotografia: Shiga Yōichi; montaggio: Sakai Shōji; musica: Ōno Katsuo; interpreti e personaggi: Uchida Yūya (Kinameri Toshiaki), Aso Yumi (la fidanzata), Matsuda Seiko (se stessa), Kitano Takeshi; produzione: Kaino Yoshiyuki, Okada Yutaka. Uscita in Giappone: 23 agosto 1986. Durata: 120’.