FIRST LOVE – L’ULTIMO YAKUZA (Hatsukoi, MIIKE Takashi, 2020)
Disponibile su Prime Video
★★★★
Un giovane boxeur si allena in una palestra. Stacco, e ci troviamo sul ring durante l’incontro. I due pugili sono nei rispettivi angoli durante una pausa tra un round e l’altro. La campanella dà il via al nuovo round, scambio di pugni, finte, inquadrature in campo lungo che si alternano a primi piani dei volti. A un certo punto il giovane pugile che abbiamo visto allenarsi in palestra, Leo, sferra un gancio al suo avversario staccandogli di netto la testa come la katana di un samurai che accarezza il collo della sua vittima. “Un momento”, ci chiediamo, “com’è possibile che un pugno, per quanto forte e possente, arrivi a staccare la testa di una persona? Nemmeno Jake La Motta o Joe Louis sarebbero arrivati a tanto”. Proviamo a tornare indietro con il telecomando, il film è su Prime Video, lo possiamo fare. Rivediamo la sequenza due o tre volte e ri-scopriamo la magia del cinema.
Basterebbe questo straordinario stacco di montaggio dai tempi perfetti per dare l’idea del film di Miike, forse il centesimo o forse di più, uno splendido gingillo postmoderno che passa dalla frenesia più convulsa, con un dislocamento dello spazio e del tempo continuo, alla contaminazione con l’anime, con gli eccessi che sconfinano nel pastiche e nel grottesco, ma anche con straordinari e poetici momenti di stasi, di allontanamento, di pudica discrezione come l’ultima inquadratura del film, sicuramente il momento più intimo di questo First Love e forse anche, attraverso l’uso del campo lungo, il più lontano, il più giapponese. Un’inquadratura che ci ricorda – parafrasando un noto libro sul cinema giapponese – come di fronte a un film orientale lo spettatore occidentale sia sempre “a distant observer” ovvero un osservatore lontano.
Riprendiamo per un momento le fila del film. Leo è un pugile che riceve una terribile notizia, un cliché narrativo visto tante volte al cinema: a causa di una grave e improvvisa malattia gli restano poche settimane da vivere. È a questo punto che la sua vita si incrocia con quella di Monica, costretta a prostituirsi sotto la minaccia di una coppia di balordi, a cui segue il poliziotto corrotto Otomo, e poi lo stravagante e crudele Kase, un giovane yakuza che fa il doppio e triplo gioco e poi ancora fantasmi con tanto di lenzuola, mafia cinese e Juri, una terribile e inarrestabile lady vengeance.
Troppa roba? Non per Miike che, da grande maestro, sa gestire la materia narrativa intrecciando le diverse fila del racconto, utilizzando in modo disinvolto l’altra pratica connaturata al cinema postmoderno: la citazione. E First Love è pieno di citazioni e rimandi. La prima immagine di Monica, ne mostra in primo piano il volto nascosto dai suoi capelli, in cui l’unica cosa davvero visibile è il suo occhio sinistro, proprio come accadevo per la Sadako di Ring, il film che lanciò il fenomeno del J-Horror, richiamato anche dalle allucinazioni della stessa Monica che rivede, come abbiamo accennato sopra, il padre in guisa di un buffo fantasma, con un ridicolo lenzuolo addosso… (nel cinema postmoderno la citazione assume spesso un carattere ludico). Ma il principale orizzonte citazionistico del film è quello che riguarda il cinema yakuza e il mito del jinji ovvero dell’onore e della sua perdita. Come viene evocato dalla cinese, mentre beve birra in una bettola, che lamenta come ormai gli yakuza abbiano completamente perso tale senso dell’onore, confessando il suo amore per quello che, nell’immaginario del cinema yakuza, è stato il principale divo che coi suoi personaggi lo incarnava, Takakura Ken (e Takeshi Kitano aggiungiamo noi), forse l’attore più amato dai giapponesi. Forse non ci sono più gli yakuza di una volta perché “la luce del mattino non si addice ai cattivi.”
Valerio Costanzia e Dario Tomasi
Titolo originale: 初恋 (Hatsukoi); regia: Miike Takashi; sceneggiatura: Nakamura Masaru; fotografia: Kita Nobuyasu; montaggio: Kamiya Akira; scenografia: Shimizu Tsuyoshi; musica: Endô Kôji; interpreti: Masataka Kubota (Leo Katsuragi), Konishi Sakurako (Monika), Omori Nao (Otomo), Sometani Shota (Kase), Becky (Juri), Uchino Seiyo (Gondo); produzione: Jeremy Thomas, Saka Misako, Maeda Shigeji, Ito Hidehiro, Kosugi Takara; durata: 115’; prima proiezione giapponese: 28 Febbraio 2020.