ITO (Itomichi, YOKOHAMA Satoko, 2021)
★★★
La timida studentessa Ito, con un traumatico lutto materno alle spalle e un lieve difetto nell’articolare le parole, sarebbe una brillante suonatrice di shamisen – la chitarra in legno a tre corde della tradizione giapponese – ma, infastidita dalle pressioni familiari, non sembra dare troppa importanza alla musica, finchè nuove amicizie strette in un particolarissimo maid cafè non la incoraggeranno a esprimere se stessa.
Partendo dai suoi luoghi d’origine – la prefettura di Aomori – Yokohama scandisce un delicato coming of age a spartito libero, che fa dello shamisen il timbro ritmico e il cuore battente della narrazione. Lo strumento per risvegliare i sentimenti e le corde dell’emotività troppo a lungo trattenuta da Ito. La cassa di risonanza che ne sollecita, e solletica, il percorso di crescita e di riappropriazione del vissuto affettivo precocemente interrotto – il contatto con la madre perduta, possibile solo nella dimensione del sogno – e nuovamente rilanciato, nel rapporto via via più complice con una compagna di scuola.
Per ritrovare una sensibilità e una propria voce attraverso l’espressione musicale («quando parla ad alta voce, sembra di ascoltare musica classica», dice di Ito un insegnante della scuola). Affrontando con inedito coraggio – nel climax della performance musicale – il palcoscenico della dimensione sociale, che finalmente riscatta l’introflessione del privato, sciogliendo i vincoli della timidezza e di un’insicurezza impacciata.
L’ambientazione curiosa, ultrapop e naïf del maid cafè, rifugio per nerd con poco carisma tra devote e sorridenti cameriere in costume, sorta di spurio “Double R” diner lynchiano versione manga e teen-jap, con sfogliatine di mele al posto della cherry pie («È l’imitazione che fa girare il mondo», spiega il proprietario), è funzionale a ritrarre il ricettacolo di umanità precaria e scombiccherata che vi ruota attorno: l’elegante e serafico maggiordomo Kudo; la madre single Sachiko, che fa da chioccia educatrice e protettiva per Ito (arrivando a diventarne una rediviva seconda madre, nel gesto di pettinarle i capelli); Tomomi, socievole ragazza che ostenta vivacità e sorrisi per nascondere problemi di autostima.
Se i toni sono sinceri, lo sviluppo non sempre è in grado di tener vivo l’interesse, rischiando le secche della noia in alcuni segmenti un po’ statici e faticosi. Tanti temi sono appena accarezzati e non trovano vero sbocco oltre estemporanee notazioni sceniche: tradizione vs modernità, dialetti e folklore vs linguaggio ufficiale, condizione di sottomissione vs affermazione individuale della donna, che la forma dramedy di Yokohama non sa decidere se risolvere nei toni scherzosi e disinvolti della weird comedy o negli accenti acuminati della critica sociale (la molestia di un cliente). Ma va bene così: al piccolo e personale film di Yokohama è giusto abbandonarsi con spirito sereno, empatia e leggerezza intelligente, senza chiedere di più.
Daniele Badella
Titolo originale: いとみち (Itomichi); regia e sceneggiatura: Yokohama Satoko; soggetto: dal romanzo di Koshigaya Osamu; fotografia: Yanagishima Katsumi; montaggio: Fushima Shinichi; musiche: Watanabe Takuma; interpreti: Komai Ren (Soma Ito),Toyokawa Etsushi (Soma Koichi), Yokota Mayu (Tomomi), Nakajima Ayumu (Kudo), Kurokawa Mei (Sachiko); produzione: Matsumura Ryuichi; durata: 117’; prima europea: 27 Giugno 2021, Far East Film Festival 23.