HOLD ME BACK (Watashi o kuitomete, OHKU Akiko, 2020)
Riprendendo temi e motivi dal precedente Tremble all You Want, premiato come l’ultimo suo lavoro al Tokyo Film Festival, Ohku Akiko disegna in Hold Me Back un nuovo ritratto di solitudine femminile che, grazie al suo successo, ne fa oggi una delle registe di punta del cinema giapponese. La vicenda ruota intorno a Mitsuko, una giovane impiegata di Tokyo, goffa e introversa, che inganna la propria solitudine grazie ad “A”, una creatura immaginaria con cui dialoga, esponendo incertezze e dubbi, compresi quelli sulla funzione della biancheria intima, e pretendendo delle risposte (in fin dei conti “A” sta per “Answer”). A rendere meno desolata la sua esistenza, cui la donna reagisce comunque con indomita energia (anche grazie alla carica dirompente della sua interprete, la bravissima Non), ci sono i legami con la collega Satsuki sessualmente molto disinvolta, l’amica Nozomi, che vive a Roma, dove ha sposato un giovane italiano da cui aspetta un figlio, e il timido Takeda, che senza mai varcarne la soglia si reca a casa di Mitsuko per ritirare il cibo che questa, amorevolmente, gli prepara. Proprio il cibo, innanzitutto come mezzo di comunicazione e socializzazione, gioca un ruolo fondamentale nel film, a partire dal suo esordio in “chiave tempura” con tutte le sue evidenti – e persino “spinte” – allusioni sessuali.
Hold Me Back si divide in tre parti: Tokyo, Roma e poi ancora Tokyo. Se in quella centrale prevale soprattutto il motivo dell’amicizia femminile e il film assume tonalità più “drammatiche” cedendo forse a una certa retorica della maternità, nelle altri due parti, più riuscite per chi scrive, i modi sono invece quelli di una commedia scatenata che fonde con efficacia modelli classici, moderni e postmoderni, così che una certa prevedibilità dello sviluppo narrativo (la storia sentimentale fra Mitsuko e Takeda) passi comunque attraverso momenti dal carattere indubbiamente “stravagante”, che sanno tenere desta, sorprendere e divertire l’attenzione dello spettatore, sino ad un finale che forse non è poi così “happy end”, o perlomeno risolutivo, come a prima vista potrebbe apparire: sarà davvero in grado Takeda di prendere il posto di “A” nella vita di Mitsuko? L’impressione è che, perlomeno, la donna avrebbe meritato di meglio.
Più che per il suo intero, Hold Me Back colpisce per alcuni suoi passaggi: gli irresistibili dialoghi fra la protagonista e il suo immaginario interlocutore; le allusioni erotiche (soprattutto nell’esordio); le soluzioni postmoderne, come quella in cui le note di una canzone si materializzano e si appendono ai cavi dell’alta tensione, o quando, durante il volo per Roma, i caratteri dell’alfabeto hiragana divengono dei palloncini che vagano fra i passeggeri; l’incontro sulla riva del mare con “A” che più che come un “Principe azzurro”, quale ci saremo potuti aspettare, appare come un tranquillo uomo di mezz’età affetto da pinguedine. La postmodernità del film, oltre che da alcune delle scene appena citate, è garantita anche dalla continua instabilità della macchina da presa che è tutt’uno con quella della sua vivace protagonista.
Dario Tomasi
Titolo originale: 私をくいとめて (Watashi o kuitomete); regia e sceneggiatura: Ohku Akiko (dal romanzo omonimo di Risa Wataya); fotografia: Nakamura Natsuyo; montaggio: Yoneda Hiroyuki; interpreti: Non (Mitsuko), Hayashi Kentō (Takeda); Usuda Asami (Nozomi), Hashimoto Ai (Satsuki), Wakabayashi Takuya, Katagiri Hairi; produzione: Nagai Takuro, Nakajima Yūsaku, Yano Yoshikata; distribuzione: Nikkatsu; durata: 133’; prima proiezione in Giappone: 5 novembre 2020.