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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

VOICES IN THE WIND (Kaze no denwa, SUWA Nobuhiro, 2020)

Presentato alla Berlinale 2020, in programma a Nippon Connection 2021 (1 – 6 giugno)

★★★★


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«Se tu muori, chi ricorderà la tua famiglia?»

La tragedia che sconvolse nel marzo 2011 il Tōhoku, nel nord-est del Giappone, è una ferita aperta. Alcuni registi vi si sono confrontati, da Fukada Kōji in Sayonara (2015), a Sono Sion nel suo The Whispering Star (2015). Suwa Nobuhiro si addentra nel labirinto del dolore, con un incedere lento e riflessivo, per cogliere tutta la devastazione e tracciare, se possibile, un segno di speranza.

Haru è una diciassettenne che vive con la zia a Hiroshima, dopo che l’intera famiglia – padre, madre e fratellino – è andata dispersa durante lo tsunami che si è brutalmente abbattuto otto anni prima su Ōtsuchi, la cittadina dove abitavano. A seguito di un malore la zia viene ricoverata in coma, e la ragazza si ritrova completamente da sola a vagare. Il suo intento è tornare nella città di origine, e intraprende così un lungo viaggio verso il nord, durante il quale farà incontri importanti.

Voices in the Wind è un road movie che si dipana con un ritmo lento e uno stile documentaristico, e che in primo luogo rappresenta il confronto di una sopravvissuta con la propria pena, per raggiungerne la sorgente e tentare di elaborare il lutto per certi aspetti più difficile: quello dei dispersi. La ragazza è preda del proprio dolore, lo esterna a volte in maniera disperata e rumorosa, altre manifestando un atteggiamento annichilito: la modella/attrice Serena Motola nella parte di Haru mi ha ricordato un’altra protagonista di un viaggio di sofferenza (anche se a mio parere è meno convincente): Machiko (Ono Machiko) in The Mourning Forest (2007) di Kawase Naomi. Là era un bosco che si faceva il luogo dell’elaborazione del trauma, qui è la strada, è il Paese stesso, spazio attraversato che si fonde con quello – mentale, profondo – altrettanto determinante dei ricordi. 

Le diverse declinazioni della memoria come fondamento dell’identità del singolo o del nucleo familiare, allo stesso tempo “arma” tutta umana che permette di affrontare il vuoto determinato dalla perdita dei propri cari, sono alla base delle riflessioni di diversi altri registi, primo fra tutti Kore-eda Hirokazu, in film come Maborosi (1995), After Life (1998), Distance (2001), Still Walking (2008), solo per citarne alcuni. Suwa Nobuhiro fa proprio il tema e lo inserisce in un’opera densa di suggestioni, imponendo allo spettatore un ritmo quasi faticoso, ma certamente coerente. 

Il film è anche un interessante addentrarsi nel panorama umano. A cominciare dall’uomo che per primo trova la ragazza riversa per strada e la accoglie a casa propria, dove cucina per lei e per la madre anziana con la quale convive, e che la scambia per la figlia morta tanti anni prima. Sarà poi l’incontro con Morio quello per certi versi più determinante nel percorso di elaborazione: un riconoscersi tra simili, perché anche lui – che la salva da un gruppo di balordi – ha perso i familiari nel disastro e ha fatto dell’automobile la propria casa, sia per continuare a cercarli, sia per rimandare il ritorno al luogo dei ricordi e del dolore. E poi la famiglia di immigrati curdi, alle prese con un altro distacco: quello causato dall’immigrazione giapponese, che detiene un loro parente. Oppure, ancora, il ragazzino, partito solo da casa con l’intenzione di “mettersi in contatto” col padre morto in un incidente.

La forza visiva dell’immagine di Haru distesa sulle fondamenta della propria casa (solo quelle sono rimaste, ma ci sono, piantate nel terreno), prelude al segmento altrettanto efficace che riguarda il telefono del titolo (esiste veramente, poco fuori Ōtsuchi): il regista lo concentra in una lunga “telefonata” della ragazza ai propri cari, che quasi con pudore riprende dal di fuori della cabina. Quando esce, Haru si ferma un po’ su una panchina e poi riprende il cammino. 

Perché si va avanti, ricordando.

Claudia Bertolé

Titolo originale: 風の電話 (Kaze no denwa); regia: Suwa Nobuhiro; sceneggiatura: Inukai Kyōko e Suwa Nobuhiro; fotografia: Haibara Takahiro; montaggio: Satō Takashi; musica: Sebu Hiroko; interpreti: Serena Motola (Haru), Miura Tomokazu (Kōhei), Nishijima Hidetoshi (Morio), Watanabe Makiko (Hiroko), Ishibashi Kei, Ikezu Sōko, Nishida Toshiyuki, Urabe Fusako, Yamamoto Mirai; produzione: Hashimoto Tarō, Izumi Eiji – Broadmedia Studios; durata: 139’; prima uscita in Giappone: 24 gennaio 2020.

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