Ryūzō to shichinin kobuntachi (龍三と七人の子分たち, Ryūzō And The Seven Henchmen)
Ryūzō to shichinin kobuntachi (龍三と七人の子分たち, Ryūzō And The Seven Henchmen). Regia, sceneggiatura e montaggio: Kitano Takeshi. Fotografia: Yanagijima Katsumi. Produttore: Mori Masayuki. Personaggi e interpreti: Ryūzo (Fuji Tatsuya), Masa (Kondō Masaomi), Mokichi (Nakao Akira), Hide (Itō Yoshizumi), Taka (Yoshizawa Ken), Yasu (Onodera Akira), Makku (Shinagawa Tōru), Tokunaga (Shimojo Atom), Ryūhei (Katsumura Masanobu), Ichizō (Hiura Ben), Nishi (Yasuda Ken), Ispettore Murakami (Kitano Takeshi). Distribuzione: Warner Bros., Office Kitano. Durata: 111′. Uscita nelle sale giapponesi: 25 aprile 2015.
Ryūzō è un anziano yakuza che vive con la famiglia del figlio, le sue giornate trascorrono pigre a bere con il vecchio compagno Masa ricordando il passato. Un giorno decidono di scrivere ai vecchi membri del clan, si ritrovano in sette e decidono di fondare una nuova gumi per controllare il territorio. Si imbattono in un nuovo gruppo di giovani, non yakuza, che cercano di imbrogliare ed estorcere denaro agli anziani della zona, lo scontro è solo questione di tempo.
Dopo due lavori con cui era per certi versi ritornato al genere che lo aveva lanciato a livello internazionale nei primi anni novanta, Outrage e Outrage Beyond, con questo suo nuovo lavoro Kitano dà libero sfogo alla sua vena sarcastica e da cabarettista, pur restando sempre in qualche modo legato al genere yakuza, qui storpiato in chiave comica.
Le premesse e l’idea di fondo sono molto buone, un gruppo di vecchi yakuza che si ritrova dopo tanti anni, periodo in cui il mondo è cambiato e le loro vite personali hanno preso strade diverse, per ricostruire una nuova gumi, un clan che i vecchi compagni denominano Ichiryū gumi (banda di primo livello). Le scene comiche, giocate sull’età avanzata degli otto protagonisti (a metà film se ne aggiunge infatti un ottavo, Yasu) sulla loro goffaggine e sul loro essere ancorati a un altro secolo, sono in certi casi molto spassose e ben si reggono sulla prova attoriale dei protagonisti. Creare un personaggio ancora con un certo senso del dovere yakuza, il giri, ma che allo stesso tempo è anche un simpatico vecchietto con tutti gli acciacchi del caso e qualche volta rimbambito, non è facile. In questo senso i personaggi meglio riusciti sono senza dubbio quelli del protagonista Ryūzō (Fuji Tatsuya, volto storico di certo cinema giapponese, conosciuto soprattutto per la serie Stray Cat Rock ed Ecco l’impero dei sensi) del compagno Masa e dello strampalato Makku, sempre assieme all’inseparabile pistola.
Ciò che però delude del film è il suo restare a metà del guado, cioè ci sono sì degli accenni seri ai tempi che sono cambiati e delle scenette sarcastiche dove si prende in giro amaramente la terza età ed la situaizone di una popolazione anziana sempre più numerosa nel Giappone contemporaneo, ma Kitano che ha curato qui anche il montaggio e la sceneggiatura, non riesce a portare fino in fondo queste buone premesse, non è cioè abbastanza cattivo e non osa alla fine più di tanto. Il film, per fare un paragone forse fuori luogo, poteva diventare una versione giapponese un po’ più leggera ma comunque tagliente di Amici miei ma così non è stato. Il ritmo un po’ lento nei primi due terzi del film e soprattutto una struttura che sembra in molti punti servire solo a mettere insieme delle scenette comiche di cui non se ne vede il senso generale e molto fini a se stesse, lasciano con l’amaro in bocca. Sembrano più gli sketch comici e surreali che spesso vedono protagonista Kitano nei varietà televisivi che lui stesso presenta, più che dei tasselli essenziali a far sviluppare la storia di un’opera cinematografica. Un lavoro che presumibilmente è stato pensato e scritto per far ridere e divertire riflettendo sulla terza età. Va detto peraltro che in verità si ride molto, le esplosioni ilari quando ho visto in una sala giapponese, si sono susseguite per tutta la durata del film. Manca però qualcosa proprio a livello di scrittura e forse di montaggio, manca cioè quella brillantezza che lo poteva risollevare e rilanciare come un film originale.
Per il resto, in alcune brevissime parti si nota ancora la mano di Kitano, alcuni movimenti di macchina e close-up sui visi dei protagonisti che forse omaggiano certo cinema yakuza dei decenni passati, ma non ci si aspettava certo un lavoro sulla fotografia fine e complesso in un lavoro del genere. Ecco che allora la parte migliore di tutta la pellicola sono senza dubbio gli ultimi 15-20 minuti, periodo in cui l’azione precipita e guadagna in velocità con alcuni colpi di scena e certe violazioni del genere, compreso il finale, dove la comicità si sposa finalmente anche con un certo ritmo di montaggio adeguato.
Come ultima cosa va notata la bella e ficcante musica di Suzuki Keiichi, nostalgica e da viale del tramonto al punto giusto, ma che non diventa mai troppo pesante ed invasiva. Una musica che però fa rimpiangere ancora di più per ciò che il film poteva essere ma non è. Non è che si vogliano fare paragoni con il Kitano di 20-25 anni fa, sarebbe stupido farlo e senza senso, dispiace però che un talento filmico come il suo, arrivato alla soglia dei 70 anni, si sia lasciato sfuggire un’occasione così ghiotta per (ri)trovare una sua nuova poetica ed iniziare una nuova fase, fra l’altro neanche troppo lontana dalle sue corde abituali della comicità sarcastica del suo personaggio televisivo. [Matteo Boscarol]