classici1-1845135

SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Make room (メイクルーム, Make Room)

42ed6034c29bf555a2213b2e3bbf8cab-580x386-9935467

Make room (メイクルーム, Make Room), Regia, soggetto e sceneggiatura: Morikawa Kei. Fotografia: Kugimiya Shinji. Interpreti: Morita Aki, Ito Beni, Kuribayashi Riri, Kawakami Nanami, Sumiyoshi Mariko, Sakai Kentaro, Shibata Akiyoshi, Sato Jin, Shigematsu Takashi, Naha Takashi, Nakahara Kazuhiro. Produttori: Morioka Toshiyuki, Nakamura Yumi. Durata: 86’. World Premiere: 20 febbraio 2015 – Yūbari International Fantastic Film Festival 2015.

Si dice spesso che per capire se un cuoco ha talento oppure no, il test migliore sia chiedergli di fare una omelette. Un aneddoto che si ritrova, per esempio, nel drama Kōkōsei restaurant (2011) oppure nel film del 2014 Amore, cucina e curry di Lasse Hallström (ma con Spielberg in cabina di produzione). Anche nel cinema è un po’ così, nel senso che se uno ha talento, lo fa venir fuori anche quando fa un film con gli ingredienti minimi. È questo il caso di Morikawa Kei – accreditato come operatore, assistente regista e poi regista di oltre 1.000 adult video – con questa sua sit-com che ha vinto lo Yūbari International Fantastic Film Festival 2015.
Il film si svolge tutto nella make room di un video per adulti. Inizia con l’aiuto-regista che sceglie la stanza, poi arriva la truccatrice, poi, pian piano le attrici. Il regista compare poco, impegnato com’è a dirigere le cose sul set. La storia si svolge quindi tutta nelle retrovie, nella “cucina” del film pornografico che si sta girando nella finzione. E qua accade di tutto. I ritardi di attori e tecnici sono ancora il meno, ciò che orienta e modifica l’andamento del film che si deve girare sono gli infiniti problemi e micro-incidenti che occorrono sul momento. Emblematica è la scena dell’intervista a una attrice esordiente su cui il produttore punta molto. Non si sa dove girare l’intervista, poi si decide di farla direttamente nella make room spostando tutti i mobili. L’intervista inizia ma si scopre che l’attrice non ha un nome d’arte. Telefonata al produttore che però dice che ci deve pensare. Intervista sospesa, si rimettono a posto i mobili. Si inizia a girare un’altra scena ma arriva la telefonata del produttore con il sospirato nome (quasi uguale a quello reale). Si rispostano i mobili, l’intervista inizia ma viene disturbata e quindi interrotta da: il passaggio di un elicottero, il passaggio di un’ambulanza, il passaggio di un venditore di hot dogs che magnifica ad alta voce il suo prodotto; da ultimo, manca la luce.
Nelle conversazioni delle attrici nei tempi morti fa capolino qua e là anche il triste tema del reclutamento e sfruttamento delle protagoniste di questi video, che come visto in alcuni film di parziale denuncia, si svolge spesso a partire da approcci per strada a ragazze ignare da parte dei cosiddetti scoutman. Sarebbe curioso sapere se in Scoutman di Ishioka Masato (2000), uno dei più noti di tali film, l’attore Morikawa Kei che nel film interpreta il ruolo di un regista, sia il regista del film di oggi.
Morikawa riesce a tenere continuamente desta la curiosità dello spettatore cucendo in una sequenza incalzante un’infinità di episodi del genere (notevole è quello della protesta di una attrice che non vuole tagliarsi le unghie per girare una scena d’amore lesbico dal momento che è appena stata dal parrucchiere per farsi appunto le unghie). Ne emerge un ritratto cinico e al contempo tenero di una fauna umana che è tanto assurda quanto normale. Tutti fanno tutto, anche i trasporti, poiché lo staff è quasi inesistente. Baricentro tranquillo e non appariscente di questo microcosmo è la truccatrice, con la sua saggezza disincantata. Intorno a lei e alle attrici, ruotano personaggi pateticamente ridicoli, come l’ex attore di film porno ora diventato “manager” che non perde occasione per riempirsi la borsa di cibi e bevande messi a disposizione dello staff. Anche le stesse attrici, alla fin fine, sembrano avere una rassegnazione stoica, dove l’unica cosa che le interessa è mangiare e non fare tardi (perché l’indomani avranno un altro film con i suoi nuovi problemi).
Finito di girare il film (ovviamente entro la nottata), i vari personaggi si salutano senza ansie, tanto si rivedranno lì o in un altrove simile. Ciò che rimane è un senso di solitudine che le varie scene hanno costruito sapientemente senza dare l’impressione di farlo e proprio per questo investe anche lo spettatore nella make room della sua vita quotidiana. [Franco Picollo]

CONDIVIDI ARTICOLO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *