Rurouni Kenshin: Kyōto taika-hen (るろうに剣心 京都大火編, Rurouni Kenshin – Kyoto Inferno)
Rurouni Kenshin: Kyōto taika-hen (るろうに剣心 京都大火編, Rurouni Kenshin – Kyoto Inferno). Regia: Ōtomo Keishi. Soggetto: Watsuki Nobuhirō. Sceneggiatura: Fuji Kiyomi, Ōtomo Keishi. Produttore: Fukushima Satoshi. Musiche: Satō Naoki. Durata: 139 min. Uscita in Giappone: 1 agosto 2014.
Rurouni Kenshin – Kyoto Inferno. Qualche tempo dopo aver sconfitto il malvagio businessman Takeda Kanryū, Kenshin conduce una vita tranquilla assieme agli amici Kaoru, Sanosuke, Megumi e Yahiko. Quando però un giorno un emissario del governo Meiji si palesa di fronte a loro, spiegando che il ministro dell’interno Toshimichi Okubo desidera parlare con Kenshin, tutti si rendono conto che ci sono guai in arrivo. Okubo ha notizie molto brutte: Makoto Shishio, un assassino degli imperialisti al pari di Kenshin (quando ancora si faceva chiamare Hitokiri Battōsai), è tornato per vendicarsi dei membri del governo Meiji i quali, appena dopo la vittoria nella battaglia di Toba-Fushimi, decisero di ucciderlo barbaramente bruciandolo vivo, nonostante fosse schierato dalla loro stessa parte. Con il corpo ricoperto interamente di bende a causa delle gravissime ustioni, Makoto semina terrore e morte in tutta Kyoto e solo Kenshin sembra poterlo fermare.
Rurouni Kenshin – The Legend Ends. Makoto Shishio, entrato in possesso di una nave da combattimento con la quale minaccia di rovesciare il nuovo governo Meiji, rapisce Kaoru e si scontra con Kenshin che nel frattempo è riuscito a salire a bordo di nascosto per salvare l’amica. Quando la ragazza viene spinta nel mare in tempesta da uno degli scagnozzi di Shishio, Kenshin abbandona lo scontro per accorrere in suo aiuto. Il giorno dopo il giovane samurai viene ritrovato su una spiaggia da un uomo che lo prende con sé per curarlo. Tre giorni dopo Kenshin si sveglia e scopre che il misterioso salvatore altri non è che il suo vecchio maestro, colui il quale lo allevò fin da bambino educandolo all’arte della spada. Kenshin capisce che, per sconfiggere il fortissimo Shishio, ha ancora bisogno degli insegnamenti del suo maestro.
Con Kyoto Inferno e The Legend Ends, Ōtomo Keishi dirige le due parti dell’imponente seguito delle vicende dedicate al samurai vagabondo, questa volta impegnato con Shishio Makoto, uno dei suoi nemici più spaventosi e crudeli. Il celebre guerriero con la sakabatō continua così le sue avventure nel Giappone del complesso periodo Meiji, fase storica dalle numerose e problematiche contraddizioni che il regista sembra voler mettere al centro assieme ai protagonisti anche in questo nuovo capitolo. Nonostante le numerose e spettacolari sequenze di combattimento e l’iperbolica caratterizzazione dei personaggi – sempre molto vicina a quella dell’anime – non perdano colpi rispetto al primo film, l’elemento che più di tutti sembra tenere insieme questa trilogia a livello viscerale è proprio la presenza di un sentimento di tristezza soffusa che permea le vicende e che abbraccia tutti i protagonisti, buoni o cattivi che siano. Il declino della figura del samurai guerriero a causa del nuovo corso di una società giapponese sempre più indirizzata verso una modernità prepotente e aggressiva fa sì che l’abile Kenshin, il burbero Sanosuke, l’inquietante Sojirō, il valoroso Aoshi e lo stesso Makoto non sembrino combattenti in lotta tra loro, ma piuttosto spiriti danzanti destinati a scomparire, simboli tragici di un tempo che non tornerà mai più. Si avverte infatti, nelle quasi quattro ore complessive, la perenne stanchezza di Kenshin quando si trova a dover agire come l’assassino che fu, così come le movenze di Sanosuke che, seppur mascherate dal suo carattere bonaccione, sembrano quelle di una tigre in gabbia che non trova pace. Allo stesso modo, nonostante si macchino di efferatezze disumane, si prova quasi tenerezza nell’ascoltare le storie della banda di briganti capeggiata da Makoto, una masnada di personaggi decaduti, schiacciati come insetti dalla nuova era che attende la nazione e che avanza inesorabile, ma legati tra loro da un vero e proprio vincolo spirituale. Ōtomo spinge quindi forte sui sentimenti, riuscendo magistralmente nel tentativo di donare un’aura mitica ai protagonisti sullo schermo.
La nitida fotografia di Ishizaka Takuro, sebbene a tratti un po’ neutra, esalta i magnifici costumi e le curatissime scenografie. Le musiche di Satō Naoki donano invece un’epicità che traduce al meglio la visione romantica del regista. [Giorgio Mazzola]