Mukidashi Nippon (剥き出しにっぽん, Bare Assed Japan)
Mukidashi Nippon (剥き出しにっぽん, Bare Assed Japan). Regia: Ishii Yūya. Soggetto, sceneggiatura e montaggio: Ishii Yūya; Fotografia: Matsui Hiroki; Musiche: Imamura Yūsuke; Interpreti: Toyone Yūichi, Ninomiya Rumi, Katsura Tonbo, Makino Emi, Nakamura Mukau, Nishizono Shūya; Produzione: Ishii Yūya per Chavez’s Cinema; Durata: 91’; Uscita nelle sale giapponesi: luglio 2007.
Links: Mark Schilling (Japan Times)
Giudizio del recensore: ★★★
Tarō è un giovane nullafacente che, a un certo punto della sua vita, decide di acquistare a un prezzo irrisorio una casa in campagna con un piccolo terreno adiacente, per darsi all’agricoltura. Lo seguono una ex compagna di classe, di cui lui è segretamente innamorato, e il padre che ha appena perso il lavoro ed è smanioso di sottrarsi alle oppressioni del tetto coniugale. In attesa dei risultati (che sembrano non arrivare mai), padre e figlio sbarcano il lunario segnalando la presenza di cantieri in autostrada. Nel frattempo, Tarō cerca l’occasione giusta per dichiararsi alla ragazza, facendo tesoro degli insegnamenti in fatto di sesso impartitigli dal defunto nonno.
Quarto lungometraggio di Ishii Yūya, realizzato ad appena un anno dall’opera d’esordio e vincitore del Pia Film Festival nel 2007. Girato in uno smorto sedici millimetri, esibisce le tipiche atmosfere di certo cinema underground dal taglio minimalista, sporco e surreale alle quali si rifanno tanti esordienti, e richiama alla mente le primissime opere di Yamashita Nobuhiro (in particolare Hazy Life e No One’s Ark) ma in parte anche quelle di Tanada Yuki, cineasta contemporanea a Ishii e come lui approdata, negli anni a venire, a un’idea di cinema dall’aspetto meno scarno e dalle strutture più ambiziose (il che non equivale necessariamente a risultati migliori). Ma per quanto acerbo e derivativo nella sua rappresentazione sardonica di un paese di perdenti, il film funziona senza alcun dubbio.
Il Giappone rappresentato da Ishii è laido, povero e impantanato, come ben stigmatizza il fangoso campo di terra su cui invano si arrabattano i protagonisti (senza alcuna esperienza di lavoro nei campi, né un obiettivo chiaro e concreto da raggiungere). I suoi abitanti, poi, sfoggiano sguardi catatonici e sembrano guidati unicamente da istinti animaleschi, in particolare da una vera e propria ossessione per il sesso. Ciò vale dalla generazione più anziana fino alla più giovane: dal nonno reduce di guerra che fino alla morte si preoccupa soltanto di avere un’erezione come ai bei tempi che furono; al padre (uno dei personaggi più comici e riusciti) che sfoglia riviste porno senza preoccuparsi più di tanto di nascondere la cosa di fronte ai familiari; fino al figlio inesperto, frustrato dal non riuscire a portarsi a letto la ex compagna di classe. Essi svolgono malamente e con poca convinzione i lavoretti pressoché inutili (come segnalare un cantiere su una strada deserta) che la recessione concede loro, mentre i loro sogni per il futuro sono privi di alcuna consistenza. Oltre a essere degli inetti, sono spesso meschini, irritanti, traditori e imbroglioni, ma non mancano di suscitare una certa simpatia che si svela in un finale aperto dal tono sostanzialmente ottimista in cui li vediamo sopravvivere, intenti ad andare avanti nonostante tutto.
Il registro adottato da Ishii è principalmente quello dell’ironia. Il film è ricco di situazioni surreali e spesso molto divertenti che nascono dall’incapacità dei protagonisti (affiancati da alcuni strambi personaggi di contorno) di stare al mondo e di azzeccare il contesto in cui si ritrovano: essi si dimostrano seri nelle circostanze più assurde e assumono viceversa atteggiamenti del tutto inadeguati in quelle più serie. Non mancano tuttavia alcuni momenti nei quali i toni si fanno più chiaramente drammatici e, in ogni caso, è più che evidente l’aura di crisi che fa da sfondo alla pungente ilarità da gag-manga e ci restituisce l’immagine di un desolatissimo Giappone di inizio millennio. [Giacomo Calorio]