Kuime (喰女 クイメ , Over Your Dead Body)
Punteggio ★★★1/2
Grande classico del teatro kabuki, Tōkaidō Yotsuya kaidan (1825) narra la storia di un samurai, Iemon, che prende in sposa Oiwa e poi la tradisce con una donna più giovane. Per liberarsi della moglie, l’uomo ordirà un terribile piano al fine di ucciderla. Tuttavia, Oiwa continuerà ad apparirgli nelle vesti di un fantasma che lo condurrà alla perdizione.
Più volte adattato al cinema – fra le versioni più celebri c’è certamente quella di Nakagawa Nobuo del 1959 –, Yotsuya kaidan ritorna sullo schermo in quest’ultimo film di Miike Takashi. Kuime non è tuttavia un adattamento tradizionale, bensì la storia di tre attori impegnati nella messa in scena del celebre dramma. Il lavoro divide equamente il suo spazio fra scene che mostrano gli attori interpretare il testo e scene che invece li rappresentano al di fuori della finzione.
Perno centrale del soggetto di Kuime è il riperpetuarsi nella realtà dello stesso adulterio che sta al centro di Yotsuya kaidan: ovvero il tradimento di Kōsuke nei confronti della compagna Miyuki, a favore della giovane Rio. Sebbene in modo diverso che nella finzione, anche questo tradimento avrà tragiche conseguenze.
Di là da alcune inquadrature ‘eccezionali’ (come quella iniziale dal punto di vista del cestello di una lavatrice, o quelle ‘volteggianti’ sull’omicidio del padre di Oiwa), Miike opta per una regia abbastanza sobria – almeno per i suoi consueti standard – lavorando soprattutto – in particolare per le scene teatrali – su colori e scenografie. Anche le sequenze al di fuori della finzione, tuttavia, presentano un tono visivo a volte astratto, e a suo modo anch’esso teatrale. Non mancano alcune soluzioni dal carattere ‘fantastico’, come la scena in cui Miyuki, logorata dalla gelosia, picchia la testa contro un vetro sino a ferirsi, e Rio, a letto con Kōsuke, si solleva perdendo sangue alla testa. Né sono assenti situazioni dal forte carattere drammatico: su tutte il tentato aborto di Miyuki. Forse un po’ più facile il gioco delle false piste in cui è spinto lo spettatore intorno alle incertezze su chi è morto e su chi ha ucciso.
Una citazione merita indubbiamente il finale, una vera e propria scena da antologia sado-maso-feticista: per non svelare troppo diciamo solo che si tratta dell’inquadratura di un paio di piedi femminili che giocano con la testa mozzata di un uomo (ovvero Miike allo stato puro). [Dario Tomasi]