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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

LA CROCE BUDDISTA (Manji, MASUMURA Yasuzō, 1964)

SPECIALE MASUMURA YASUZŌ E WAKAO AYAKO

di Claudia Bertolé

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Wakao Ayako rende esplicito ogni accenno che, prima di lei, sembrava trattenuto: l’ambiguità si fa manifesta, la “donna velenosa”, la dokufu, si produce in esternazioni che le permettono di  manipolare il mondo che la circonda a suo beneficio. Nella parte della protagonista de La croce buddista di Masumura, l’attrice è al centro di un intreccio di relazioni tra quattro personaggi. I rapporti di potere sono sbilanciati a favore della femme fatale: è lei che domina e tira le fila degli altri personaggi. La nuca di Wakao-Mitsuko, i frammenti del suo corpo nudo in uno specchio, gli sguardi, sono gli elementi che compongono una “superdonna” irresistibile, che si riflette negli occhi adoranti o desideranti di coloro che vengono in contatto con lei. Nessun prigioniero, l’infezione è inevitabile. 

Sonoko, casalinga annoiata e non troppo soddisfatta del marito, frequenta una scuola d’arte femminile e, nel comporre il ritratto della Dea della misericordia, utilizza per i tratti del viso della divinità quelli di una conoscente, Mitsuko, dalla quale è evidentemente affascinata. Le due donne iniziano di lì a poco una relazione, fatta di dedizione ossessiva – in particolare da parte di Sonoko –  ma anche di sotterfugi, sospetti, ricatti, e dalla quale non potranno evitare il coinvolgimento i rispettivi partner.

Trasposizione cinematografica di un romanzo di Tanizaki Jun’ichirō, La croce buddista racchiude la passione ossessiva di Sonoko in un racconto che la stessa fa, a posteriori, al proprio mentore. È quindi il punto di vista di Sonoko che ci offre il ritratto della “dea-Wakao”, perno di giochi relazionali orientati al dominio e alla distruzione più che non alla misericordia evocata dal ritratto, anche se, come la stessa autrice del racconto nel racconto ammette, accennando in un certo senso a una superiorità irresistibile della “dea”: «In ogni caso l’amore per lei è più forte dell’odio e dell’amarezza».

Con l’entrata in scena di Wakao Ayako la rappresentazione femminile nel cinema giapponese fa un salto in avanti, cambia registro. Femme fatale per certi versi ancora acerba nel film The Blue Sky Maiden,  che segna l’esordio della collaborazione con Masumura, in film successivi di un altro straordinario regista, Kawashima Yūzō, dà vita a personaggi quanto mai evocativi: Koen di Women Are Born Twice (conosciuto anche come A Geisha’s Diary, 1961), è una donna che si prostituisce insieme ad altre, intrattenendo soprattutto ricchi clienti, personaggio coraggioso, consapevole, che non esita a combattere per i propri obiettivi; e poi in un altro film di Kawashima, Elegant Beast (1962), l’attrice appare nelle vesti di un’abile manipolatrice che mette in scacco una famiglia di truffatori, sfruttando il proprio carisma soprattutto nei confronti delle controparti maschili. 

Per Masumura, Wakao Ayako affina le proprie doti e i registri espressivi raggiungono livelli notevoli, in uno spettro delle esternazioni umane – e in particolar modo femminili – che fanno ripensare a certe dichiarazioni del regista, il quale in un’intervista ai Cahiers du Cinéma nel 1969 sostenne: «Non cerco di ritrarre solo donne. Il punto è che le donne sono più umane [rispetto agli uomini]».

Masumura, in un contesto sociale che è quello del Giappone del dopoguerra, sembra interessato a ritrarre soprattutto il comportamento femminile, nei suoi film caratterizzato da un forte individualismo. I suoi personaggi femminili risultano allora in netto contrasto con quelli, per esempio, di Mizoguchi: non più soltanto eroine sofferenti, ma anche abili manipolatrici. E questa prevalenza di figure femminili non sarebbe dovuta che a voler rappresentare, come ribadito nell’intervista ai Cahiers, il lato più umano, nel senso ampio del termine, della società.

Ne La croce buddista il regista confina le figure umane in riquadri, le opprime in spazi claustrofobici, costrette da grate o sdoppiate nei riflessi, in uno scenario a tratti quasi espressionista. È un mondo che si regge sull’inganno e sulla finzione – come quella che mette in atto Mitsuko sostenendo di essere incinta – in una fusione di sogno e desiderio che rivela emozioni tossiche che erompono incontrollate. E che racconta allo stesso tempo di una società giapponese del dopoguerra tesa verso la modernità, fatta, anche, di donne intenzionate ad essere artefici delle proprie vite. 

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L’incastro delle relazioni e dei giochi di potere si regge sul personaggio di Mitsuko, che non sembra avere altri interessi che manipolare il mondo attorno a lei, con strategie, finzioni e soprattutto con un’attrazione seduttiva che sa di esercitare nei confronti delle persone che cadono nella sua sfera di influenza. La costruzione potente del suo personaggio passa attraverso inquadrature che quasi non sembrano riuscire a racchiudere la bellezza del suo corpo, e nelle quali l’insistente presenza di specchi che attraverso i riflessi ne moltiplicano gli accenni è di tutta evidenza. Mitsuko china il capo, ammicca, gradualmente si svela in riprese dalle angolature azzardate ma sempre efficaci. Il suo sguardo obliquo, isolato dal regista, seduce Sonoko e con lei lo spettatore. Mitsuko è un ricordo costruito dall’amante che l’adora, la quale ripercorre tutti i passi di un esercizio di potere che aveva portato a una deriva di controllo totale da parte della donna: Sonoko e il marito non si erano opposti a lei, soggiogati dall’idea di una pericolosa relazione a tre, e mettendo a repentaglio la loro stessa vita pur di assecondarne i desideri.  


Titolo originale:  (Manji). Regia: Masumura Yasuzō; sceneggiatura: Shindō Kaneto, dal romanzo di Tanizaki Jun’ichirō; fotografia: Kobayashi Setsuo; montaggio: Nakashizu Tatsuji; musica: Yamauchi Tadashi; interpreti e personaggi: Wakao Ayako (Tokumitsu Mitsuko), Kishida Kyōko (Kakiuchi Sonoko), Funakoshi Eiji (Kakiuchi Kotaro), Kawazu Yūsuke (Watanuki Eijirō); prodotto da: Saitō Yonejirō. Uscita in Giappone: 25 luglio 1964. Durata: 91’.

 

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