MY BROTHER, THE ANDROID AND ME (Otōto to android to aoku) Sakamoto Junji, 2022
Speciale Asian Film Festival 30 marzo – 5 aprile 2023
di Valerio Costanzia
Classe 1958, Sakamoto Junji, autore eclettico e versatile che passa dal neo-noir al jidaigeki, dal thriller alla commedia corale, ha all’attivo circa 30 film. In quest’opera affronta il tema del doppio e del rapporto uomo-macchina.
Kaoru è un ingegnere di robotica all’università, è stravagante e solitario, trascura sia il suo lavoro sia l’insegnamento. Fin da bambino ha vissuto la sua vita avendo la percezione di non esistere, motivo per il quale inizia una quasi totale ossessione nei confronti di un androide che sta costruendo.
Aperto da una citazione del filosofo cognitivista Daniel Dennet (“A self is an abstract object, a theorist’s fiction”) i cui scritti sull’intelligenza artificiale hanno avuto una larga eco nel dibattito contemporaneo, il film di Sakamoto ha come protagonista Karou, un ingegnere e professore universitario claudicante (a causa di un problema neurologico), un moderno dottor Frankenstein, intento a creare un androide con le proprie fattezze, una specie di doppio in versione replicante. La prima sequenza, con l’entrata in scena di Karou avvolto da un impermeabile che, in ralenti, avanza minacciosamente verso di noi, detta il mood del film. Gli interni di una elegante villa (scopriremo più avanti che si tratta di una clinica), con tanto di salone dotato di un camino che scalda l’ambiente, sono il preludio a una serie di oggetti indiziari rivelatori di ciò che vedremo più avanti: una copia di Io, robot di Isaac Asimov, il particolare di una mano artificiale dalle cui dita si propagano dei cavi, una sala operatoria, una inquietante motosega (il décor sembra avvicinarsi vagamente all’ambientazione steampunk), mentre, in esterni, un bambino (probabilmente lo stesso Karou da piccolo in un flashback), sotto la neve, è intento a creare un pupazzo di neve.
In My Brother, the Android and Me ci sono due elementi in antitesi dei quali non si può fare a meno di sottolineare la forte valenza simbolica: da un lato la pioggia battente che per tutto il film continua a cadere imperterrita rendendo lo scenario urbano ancora più ostile; dall’altro il fuoco del quale abbiamo già accennato a proposito del camino, che torna più volte come elemento distruttivo e purificatorio ma anche strumento di chi intende forgiare e plasmare la materia (in questo caso l’androide). Ed è sotto la pioggia che Karou incontra una giovane ragazza, l’unico personaggio umano con il quale egli sembra avere un’affinità, a differenza del fratello che avrà invece un ruolo estremamente negativo (qui i punti di contatto con l’opera di Mary Shelley ci sembrano espliciti, seppur con le debite differenze). La ragazza sarà protagonista della fondamentale sequenza finale, che rivela uno scenario del tutto inaspettato e, per certi versi, sorprendente. Nel complesso Sakamoto costruisce un personaggio-demiurgo che da un lato presenta diverse fragilità che si concretizzano, per esempio, nelle sequenze ambientate all’università in cui viene deriso dagli studenti e vessato dal suo superiore, oppure nel suo vagare in bicicletta sotto la pioggia. Dall’altro lato, però, l’entrata in scena al ralenti di Karou, l’inquietante gola nella roccia attraverso la quale il protagonista passa recandosi alla clinica, la pioggia battente, la colonna sonora, l’immagine allo specchio che rimanda al suo doppio, innestano sulla figura di Karou un’inquietante aura minacciosa che rimanda – e questa ci pare la parte più riuscita del film – a certe atmosfere del J-Horror, soprattutto il primo Kurosawa Kiyoshi, in particolare Cure, 1997 e Kairo 2001.
Titolo originale: 弟 と ア ン ド ロ イ ド と 僕 (Otōto to android to aoku); regia e sceneggiatura: Sakamoto Junji; fotografia: Gima Shingo; interpreti: Toyokawa Etsushi (Kiryu Kaoru), Ando Masanobu, Yoshizawa Ken, Kazamatsuri Yuki Honda Hirotaro, Katayama Yuki; produzione: Kanno Wakana, Takebe Yumiko; durata: 94’; uscita in Giappone: 7 gennaio 2022