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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

A FAR SHORE (Tōi Tokoro, KUDŌ Masaaki, 2022)

SPECIALE NIPPON CONNECTION

Francoforte 6 – 11 giugno 2023

di Marcella Leonardi

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Diretto da Kudō Masaaki, già assistente regista per Sono Sion, Morita Yoshimitsu e Shiraishi Kazuya, A Far Shore è un’opera a tratti scioccante, ma di struggente bellezza, che ci mostra la lotta per la sopravvivenza di una giovane minorenne in una società crudele. Il regista ha dichiarato: “Quello che viene raffigurato in A Far Shore non è un problema sociale localizzato ad Okinawa. Tutto ciò sta accadendo, in questo momento, ovunque in Giappone.”

Nella prefettura di Okinawa, la più povera di tutto il Giappone, la diciassettenne Aoi vive con il marito Masaya e il figlio piccolo Kengo. La ragazza lavora in un locale fino al mattino, assieme all’amica Mio, per sbarcare il lunario: il suo misero stipendio serve a coprire l’affitto, le spese quotidiane e a mantenere il pigro e violento Masaya, che la picchia brutalmente. Per Aoi la vita si fa sempre più dura e la prostituzione sembra l’unica soluzione per una vita migliore. 

A Far Shore si apre sul viso sorridente di Aoi (interpretata da una stupefacente Hanase Kotone) e si chiude con la sua risata, stremata ma anche dolce e colma di speranza. Ciò che accade tra questi due momenti di luce – ovvero la resistenza, quasi in tempo di guerra, della giovinezza inesperta e innocente – riempie i nostri occhi di orrore e disperazione. Il regista ci conduce dentro Okinawa, instaurando con i luoghi un rapporto estremamente intimo: entra nelle case e nei bar, percorre quartieri degradati, si ferma a osservare negozi fatiscenti, insegne, luci al neon. La macchina da presa segue Aoi di spalle, mediante carrellate molto morbide, e la scelta di non usare la macchina a mano ha una precisa funzione significante: “Volevamo che il pubblico provasse la sensazione di seguire il personaggio. Se avessimo usato quel tipo di camera, avremmo trasmesso agli spettatori le nostre emozioni, quelle di chi produce il film”.
Kudō ripone molta attenzione nella (bellissima) regia, investendola di forte valore espressivo; e altrettanta cura viene data al montaggio, libero ed ellittico, scaturito dall’indole poetica dell’autore.

Due sono i personaggi principali di A Far Shore: Aoi e Okinawa, sfruttate e abbandonate, con un presente scritto nei vicoli, nei quartieri più poveri, nell’asfalto e nei rifiuti ai margini delle strade. C’è una somiglianza, un bisogno d’amore che accomunano la ragazza e la città, filmate dal regista secondo un duplice registro: quello di un crudo naturalismo, rivelatore della durezza del quotidiano (foto 1); e quello di uno sguardo più fiabesco e onirico, che indugia nelle notti dalle luci di velluto e traduce le emozioni in immagini monocrome (foto2).
Come Okinawa, Aoi sogna e desidera; immagina un futuro, “a far shore” (una sponda lontana) ma il percorso la allontana dalla riva e la conduce in una discesa di sofferenza e illusioni perdute.

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Foto 2

Spesso il regista spezza la linearità del racconto con rapidi flashback delle conversazioni di Aoi e Mio, intente a “cercare il mare” come Jean-Pierre Leaud ne I 400 colpi (1959). Tutto il film ha una qualità Nouvelle Vague, resa manifesta dal rifiuto delle convenzioni del cinema giapponese contemporaneo – in particolare la sua educata reticenza – e dalla freschezza di una regia indomita, che scivola con naturalezza da quadri still life a irrequiete sequenze in movimento: indimenticabile, in particolar modo, la “fuga” giocosa delle ragazze, tra slow-motion, carrelli, campi lunghissimi e intensi primi piani.
L’inquietudine poetica della direzione di Kudō, che nel suo nero apre squarci di bellezza abbagliante, trasmette le pulsazioni contraddittorie della giovinezza: Aoi e le sue compagne, costrette a intrattenere viscidi uomini di mezza età, non sono che ragazze, minorenni animate da un bisogno di vita, di insensatezza ludica propria dell’età. Similmente, Okinawa è un luogo “instabile”, in trasformazione, diviso tra un paesaggio funebre di corruzione e rifiuti, e spiagge che il regista riempie di luce, sovraesponendo, cercando l’anima trascendente del luogo (foto 3).

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Le scene più difficili, per lo spettatore, sono quelle in cui la giovane subisce passivamente la violenza del compagno Masaya, lasciandosi massacrare di colpi. Masaya la picchia, la deruba, ignora il piccolo Kengo, ma Aoi continua ad amarlo e a prendersi cura di lui: “essere colpita, per me, è una forma d’amore”.
La sua devozione nei confronti di Masaya la rende simile alle protagoniste di Lars Von Trier, in particolare la Bess di Breaking The Waves: entrambe sono dotate di una santità e si prostituiscono per occuparsi del compagno. Gli incontri sessuali che seguono, squallidi e pericolosi, ci mostrano Aoi mentre pratica fellatio a pervertiti di mezz’età o si lascia dominare da energumeni tatuati che la stringono al collo. Kudō non ci risparmia nulla, all’insegna di una realtà mostrata come è; non c’è la minima intenzione esploitativa da parte del regista, il quale non può far altro che filmare, nella sua naturale evidenza, questo corpo-campo di battaglia, colpito e umiliato, sfruttato e ridotto al limite della propria coscienza umana (foto 4).

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Kudō ama profondamente la sua protagonista, pur non comprendendola fino in fondo, o non approvando le sue scelte: Aoi ha una sensibilità turbata, un rapporto squilibrato con il mondo e con i sentimenti umani; ma è piena di luce, e la Grazia veglia su di lei, così come la madonna splendeva tra le macerie illuminando il corpo martoriato di Tanaka Kinuyo in Women of the Night (1948) di Mizoguchi Kenji (foto 5). Il cinema classico ci mostrava come le trasformazioni del mondo passassero attraverso il corpo delle donne; lo stesso Mizoguchi inchiodava le sue protagoniste ad un martirio obbligato, “eroine sofferenti” dipinte secondo una visione ideale. L’approccio di Kudō è meno astratto e più vero: Aoi è antieroica, imperfetta e umanissima. Il rapporto con il proprio corpo è di distacco, quasi non le appartenesse: ma il suo sguardo è rivolto a quella sponda in lontananza, la vagheggiata “far shore” che nel finale tenta di raggiungere (foto 6), a nuoto, portando in braccio il piccolo Kengo: l’estremo gesto di ribellione e fede in un’altra esistenza possibile.

tanaka-2Foto 5: Tanaka Kinuyo (Fusako) e Hanase Kotone (Aoi)

finaleFoto 6: A Far Shore

Titolo originale: 遠いところ; regia: Kudō Masaaki; sceneggiatura: Kudō Masaaki; Suzuki Mami: fotografia: Sugimura Takayuki; montaggio: Kudō Masaaki, Chen Shih Ting; musica: Itō Hironori, Keefar; interpreti e personaggi: Hanase Kotone (Aoi); Ishida Yumemi (Mio); Sakuma Yoshiro (Masaya); produzione: Kitagawa Yuki; prima uscita in Giappone: 1 giugno 2022; durata: 128; riconoscimenti: Tokyo FilmEX 2022, Winner Audience Award.

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