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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SHADOW OF FIRE – OMBRA DI FUOCO (Hokage, TSUKAMOTO Shin’ya, 2023)

CONTEMPOREANEA

In concorso nella sezione Orizzonti – Venezia 80 – 2023

di Davide Parpinel

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Shadow of Fire può essere considerato il terzo capitolo della trilogia che Tsukamoto Shin’ya ha dedicato agli effetti della guerra sugli esseri umani e all’orrore di uccidere.

Al termine della Seconda guerra mondiale, un villaggio in Giappone devastato, cerca di  riprendersi. Una ragazza, rimasta da sola perché tutta la sua famiglia è stata spazzata dalla guerra, vive rinchiusa in un ristorante completamente distrutto. Non essendoci però cibo da cucinare, per vivere vende il suo corpo. Poi c’è un soldato che cerca un luogo di riposo e un orfanello che vive rubando e ha con sé una pistola. Fra i tre si instaura uno strano gioco di affetti, fino a quando i fantasmi della guerra, le sue ombre, tornano a vivere. Il ragazzino, quindi, lascia la casa della donna e parte con un venditore ambulante a cui interessa solo una cosa.

Killing (Zan 2018) e Fires on the Plain (Nobi, 2014) i primi due film delle trilogia, hanno affrontato le tematiche della guerra declinate in contesti diversi. Il primo è un film sui samurai ambientato verso la fine del dominio, mentre Fires on the Plain racconta la storia di alcuni soldati mandati a combattere nelle Filippine durante la Seconda guerra mondiale. In Shadow of Fire il contesto rimane più o meno il medesimo di quest’ultimo film, ma cambia ciò che si vede. La guerra non è protagonista, ma i suoi effetti, le sue eredità traumatiche, le macerie e i segni del fuoco interessano al regista giapponese. Cosa lascia, infatti, una guerra così devastante? Innanzitutto macerie, solchi, bruciature che non si materializzano solo nelle cose, ma anche nelle persone. La ragazza rimasta da sola, si fa schiacciare dalla sua non vita. Rimane immobile mentre i suoi clienti abusano del suo corpo e l’unica cosa che è in grado di offrire è un po’ di sakè che le porta ogni tanto un uomo. 

Il suo deserto emotivo e umano si ravviva con l’incontro dell’orfanello e del soldato. Qui avviene il primo punto di svolta del film. È necessario precisare che Tsukamoto è forse l’unico o per meglio dire tra gli unici registi contemporanei in grado di usare la macchina da presa come fosse l’occhio umano. Lo spettatore, infatti, si trova dentro la casa/ristorante della ragazza, osserva le pareti bruciate come le vede la ragazza o sente il fiato sporco dei suoi clienti sul proprio corpo. Chi guarda è addentro l’anima e la vita della protagonista e percepisce in prima persona la gioia che si riaccende nella donna quando tra lei il soldato e il bambino orfano si intesse una relazione autentica. I tre non giocano alla famiglia felice, bensì cercano di supportarsi a vicenda, di reagire in unione a ciò che gli sta accadendo scambiandosi umanità e comprensione. Ma la macchina da presa del regista giapponese indica nuovamente il momento di svolta del film. Il suo girare e avvolgere dolcemente la ragazza, il soldato e l’orfano, improvvisamente cambia per muoversi in maniera veloce e confusionaria, come è la confusione della mente dell’uomo pervasa dal ricordo della guerra. L’uomo è pertanto, costretto a lasciare la casa/ristorante perché in preda a una violenza incontrollata. Nuovo cambio. Dalla ricerca ossessiva di mostrare la disperazione della ragazza successiva all’ennesima ferita emotiva, la macchina da presa di Tsukamoto si pone a fianco del ragazzino e del venditore nel loro viaggio per la campagna giapponese. È qui che subentra la pistola dell’orfano. Il venditore è un altro ex soldato che, proprio utilizzando l’arma del suo compagno di viaggio, cerca la sua vendetta nei confronti del suo generale. Per inquadrare ciò Tsukamoto si affida a una visione stretta del volto indemoniato dell’uomo per poi muoversi a seconda dei suoi gesti di vendetta. 

Insomma in questa storia a sottrazione in cui le dinamiche esistenziali escludono le persone, chi rimane? Sopravvive il ragazzino, l’orfanello, l’unico personaggio che non si arrende, ma anzi crede nella sua sopravvivenza e in quella della sua società, come mostrato nelle scene finali. Per questo il regista segue i movimenti del giovane protagonista, restando incollato al suo volto, alla sua caparbietà, alla sua tenacia. Le ombre di fuoco sono quelle, quindi, che vivono nei reduci, in chi è rimasto vivo dall’orrore. Sono ombre perché si aggirano nelle menti e sono di fuoco perché bruciano l’anima dei personaggi del film. Tsukamoto ha la capacità di mostrare queste ombre innanzitutto, come detto prima, aderendo con la macchina da presa all’occhio, al respiro, ai gesti dei protagonisti. E poi grazie al modo in cui riesce a usare le luci e le scene. I suoi film, per quanto girati in digitale, brillano, esplodono di colori o materializzano un buio denso e profondo. La contrapposizione fotografica tra lo spento inizio e la luce che si accede attorno alla vita dell’orfanello nel finale, non solo rappresentano narrativamente l’evoluzione del personaggio, ma accedono, linguisticamente, la luce su quello che può essere il dopoguerra venato di rapporti umani e non dall’orrore. L’inizio fornisce la chiave di accesso al film. La macchina da presa è fissa sullo sguardo assente della ragazza immersa nella penombra del suo ristorante. Poi comincia a muoversi, sfrutta la porta aperta del locale per uscire e mostrare le macerie del villaggio, e quindi alzarsi velocemente a inquadrare questo luogo che ancora brucia e fuma in cui non c’è più nulla. Questo pugno nello stomaco dello spettatore desidera far vedere il contesto, il luogo dell’azione, come se il regista volesse dire: da qui parte tutto; non resta che ricostruire.

Shadow of Fire è, pertanto, un’evoluzione dall’ombra alla luce ed è l’ennesima conferma del cinema di Tsukamoto. Il regista utilizza la grammatica del cinema per accompagnare e spiegare il film allo spettatore, per permettergli di percepirlo, sentirlo in prima persona, capire ciò che sta mostrando. È uno Tsukamoto che sta cambiando il suo cinema. Sembra aver abbandonato la violenza ricolma di sangue e spietata dei primi film, per divenire più riflessivo e forse anche più speranzoso sul futuro. 


Titolo originale: ほかげ (Hokage); fotografia, montaggio, sceneggiatura e regia: Tsukamoto Shin’ya; musiche:  Ishikawa Chu; suono: Kitada Masaya; interpreti: Shuri (la ragazza del bar), Tsukao Oga (l’orfano), Kono Hiroki (soldato), Moriyama Mirai (venditore ambulante); produzione: Tsukamoto Shin’ya – Kaijyu Theater Co.,Ltd.; distributore: Taku Kato – Nikkatsu Corporation; prima uscita in Giappone: 25 novembre 2023; durata: 96’

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